E’ la prima volta che mi capita di vedere il nome Sisinio (in Sardegna è “Sisinnio”, con la doppia enne) fuori della mia isola. In questo racconto infatti l’ambiente è l’Italia del Nord. Il clima umano nel quale questo racconto ci porta è invece, semplicemente, quello della comune vicenda dei rapporti fra persone, in famiglia o nel lavoro o altrove. Anche in questo caso, come spesso capita, il dramma si intreccia inestricabilmente con la profondità degli affetti.
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Era una mattina molto fredda, il 3 febbraio 1959, tempo di candelora, e, uscendo dalla porta di casa per andare al lavoro in negozio, trovai mio padre e suo fratello che stavano chiacchierando dopo essere tornati dalla prima messa del mattino. Eravamo vicini di casa, con mio zio, e lo salutai dandogli il buongiorno; lui mi risposte in modo gentile dicendomi: “Ciao popa” (ragazzina) e pensai tra me e me che mi aveva salutato proprio in modo carino, come uno zio affettuoso.
Verso sera andai poi a casa di mia zia, la quale mi disse che il marito, cioè lo zio che avevo salutato al mattino, era andato in montagna per controllare i tetti delle cascine visto che in quei giorni c’era stato molto vento e voleva accertarsi che tutto fosse in ordine: ma era già tardi e non aveva ancora fatto ritorno. La zia era preoccupata e aggiunse che avevano mandato suo figlio Romedio insieme a mio fratello Sisinio e ad un altro amico, Lino, per cercarlo.
I tre ragazzi, tutti diciottenni, si erano incamminati e ci vollero due ore per arrivare alla prima cascina. Constatarono che lo zio era passato di lì dato che c’erano ancora le braci sul camino: dalla prima cascina proseguirono quindi verso la seconda. Per arrivarci bisognava attraversare un fitto bosco con un sentiero stretto lungo circa un chilometro.
Era quasi notte e per proseguire dovevano attraversare anche un canalone ghiacciato; mio fratello Sisinio fu il primo a provare a passare: ma non ci riuscì perché scivolò sul ghiaccio. Gli altri due amici lo videro cadere terrorizzati, e iniziarono a chiamarlo: “Sisinio, Sisinio!”: ma lui non rispose. I due amici spaventati decisero allora di tornare di corsa in paese per chiedere aiuto.
I soccorritori partirono immediatamente, muniti di lampade a carburo, per cercare innanzitutto mio fratello nel fondo del canalone e quindi proseguire per cercare mio zio. Il primo soccorritore che arrivò sul posto iniziò improvvisamente a gridare dicendo che vedeva nel fondo due persone come morte. Sisinio, cadendo nel canale, fece ritrovare infatti anche il corpo dello zio, ormai privo di vita dopo aver battuto la testa: erano scivolati entrambi nello stesso punto.
Mio fratello aveva una profonda ferita alla testa e respirava, ma non era cosciente. I soccorritori lo caricarono su una barella di fortuna, ricavata dalla porta di una cascina, e in spalla lo portarono fino alla strada, dove arrivarono le macchine con il dottore. Arrivammo anche io e mia sorella. Era uno strazio vedere così mio fratello: ci sembrava morto, con la bava alla bocca, e d’istinto lo chiamai: “Sisinio, Sisinio!”; egli dovette sentire la mia voce perché mi rispose con un “ooooohh” gemente e a quel punto il dottore disse queste parole: “Vive, vive, ce la farà”; lo misero immediatamente sulla macchina, che di corsa lo accompagnò in ospedale.
Subì un intervento alla testa e lo medicarono anche per una profonda ferita ad un fianco; ci fu molta apprensione sia da parte nostra sia da parte dei medici, e rimase in coma per una settimana. Risvegliatosi ci chiese immediatamente di informarlo sulle condizioni di salute dello zio, e purtroppo dovemmo dargli la triste notizia della sua morte.
Circa un mese dopo tornò a casa dall’ospedale, con la testa ancora fasciata. Passarono alcuni ulteriori giorni e il 19 marzo volle andare in un paese vicino, dove ai tempi di cui stiamo parlando si potevano vedere già le prime televisioni nei bar: andava infatti per seguire la gara ciclistica Milano-Sanremo. Questo sport è stato la passione che lo ha accompagnato per tutta la vita: fu il primo a portare una bicicletta da corsa a Bersone, il nostro paese, e quando poteva andava anche all’estero per seguire le gare di bici in compagnia di amici, talvolta anche con Don Bicicletta, un suo amico prete chiamato così proprio per la sua passione per la bici.
Sisinio è stato sempre un battagliero, ha fatto tanti lavori, l’operaio, il muratore, e anche l’impresario. Al suo fianco c’è sempre stata la moglie Marilisa, con la quale ha formato una bellissima famiglia e dalla quale ha avuto quattro figli. Ad un certo punto della sua vita decise di costruire nel nostro piccolo paese un albergo con bar, ristorante, pizzeria, chiamato “S. Sebastian”: una struttura degna di un grande centro turistico, che egli gestiva con l’aiuto della moglie e dei figli. Purtroppo nel dicembre 2004 un ictus cerebrale lo colpì: venne operato di nuovo alla testa e poi intubato; non riprese più coscienza fino a quando, in una giornata di gennaio del 2005, ci lasciò, raggiungendo la moglie, morta tre anni prima.
Un vecchio proverbio dice: “Quando la gabbia è fatta l’uccello scappa”. E così anche lui se ne è volato via lasciando in eredità la sua opera principale, il S. Sebastian. Di lui ci resta soprattutto il ricordo di un uomo buono e gentile, che ci faceva sorridere con i suoi aneddoti, con le sue battute, e le filastrocche che insegnava alle sue nipotine. Ciao, zio Sisinio! Con affetto, Lucia.
(Anonima)
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Era una mattina molto fredda, il 3 febbraio 1959, tempo di candelora, e, uscendo dalla porta di casa per andare al lavoro in negozio, trovai mio padre e suo fratello che stavano chiacchierando dopo essere tornati dalla prima messa del mattino. Eravamo vicini di casa, con mio zio, e lo salutai dandogli il buongiorno; lui mi risposte in modo gentile dicendomi: “Ciao popa” (ragazzina) e pensai tra me e me che mi aveva salutato proprio in modo carino, come uno zio affettuoso.
Verso sera andai poi a casa di mia zia, la quale mi disse che il marito, cioè lo zio che avevo salutato al mattino, era andato in montagna per controllare i tetti delle cascine visto che in quei giorni c’era stato molto vento e voleva accertarsi che tutto fosse in ordine: ma era già tardi e non aveva ancora fatto ritorno. La zia era preoccupata e aggiunse che avevano mandato suo figlio Romedio insieme a mio fratello Sisinio e ad un altro amico, Lino, per cercarlo.
I tre ragazzi, tutti diciottenni, si erano incamminati e ci vollero due ore per arrivare alla prima cascina. Constatarono che lo zio era passato di lì dato che c’erano ancora le braci sul camino: dalla prima cascina proseguirono quindi verso la seconda. Per arrivarci bisognava attraversare un fitto bosco con un sentiero stretto lungo circa un chilometro.
Era quasi notte e per proseguire dovevano attraversare anche un canalone ghiacciato; mio fratello Sisinio fu il primo a provare a passare: ma non ci riuscì perché scivolò sul ghiaccio. Gli altri due amici lo videro cadere terrorizzati, e iniziarono a chiamarlo: “Sisinio, Sisinio!”: ma lui non rispose. I due amici spaventati decisero allora di tornare di corsa in paese per chiedere aiuto.
I soccorritori partirono immediatamente, muniti di lampade a carburo, per cercare innanzitutto mio fratello nel fondo del canalone e quindi proseguire per cercare mio zio. Il primo soccorritore che arrivò sul posto iniziò improvvisamente a gridare dicendo che vedeva nel fondo due persone come morte. Sisinio, cadendo nel canale, fece ritrovare infatti anche il corpo dello zio, ormai privo di vita dopo aver battuto la testa: erano scivolati entrambi nello stesso punto.
Mio fratello aveva una profonda ferita alla testa e respirava, ma non era cosciente. I soccorritori lo caricarono su una barella di fortuna, ricavata dalla porta di una cascina, e in spalla lo portarono fino alla strada, dove arrivarono le macchine con il dottore. Arrivammo anche io e mia sorella. Era uno strazio vedere così mio fratello: ci sembrava morto, con la bava alla bocca, e d’istinto lo chiamai: “Sisinio, Sisinio!”; egli dovette sentire la mia voce perché mi rispose con un “ooooohh” gemente e a quel punto il dottore disse queste parole: “Vive, vive, ce la farà”; lo misero immediatamente sulla macchina, che di corsa lo accompagnò in ospedale.
Subì un intervento alla testa e lo medicarono anche per una profonda ferita ad un fianco; ci fu molta apprensione sia da parte nostra sia da parte dei medici, e rimase in coma per una settimana. Risvegliatosi ci chiese immediatamente di informarlo sulle condizioni di salute dello zio, e purtroppo dovemmo dargli la triste notizia della sua morte.
Circa un mese dopo tornò a casa dall’ospedale, con la testa ancora fasciata. Passarono alcuni ulteriori giorni e il 19 marzo volle andare in un paese vicino, dove ai tempi di cui stiamo parlando si potevano vedere già le prime televisioni nei bar: andava infatti per seguire la gara ciclistica Milano-Sanremo. Questo sport è stato la passione che lo ha accompagnato per tutta la vita: fu il primo a portare una bicicletta da corsa a Bersone, il nostro paese, e quando poteva andava anche all’estero per seguire le gare di bici in compagnia di amici, talvolta anche con Don Bicicletta, un suo amico prete chiamato così proprio per la sua passione per la bici.
Sisinio è stato sempre un battagliero, ha fatto tanti lavori, l’operaio, il muratore, e anche l’impresario. Al suo fianco c’è sempre stata la moglie Marilisa, con la quale ha formato una bellissima famiglia e dalla quale ha avuto quattro figli. Ad un certo punto della sua vita decise di costruire nel nostro piccolo paese un albergo con bar, ristorante, pizzeria, chiamato “S. Sebastian”: una struttura degna di un grande centro turistico, che egli gestiva con l’aiuto della moglie e dei figli. Purtroppo nel dicembre 2004 un ictus cerebrale lo colpì: venne operato di nuovo alla testa e poi intubato; non riprese più coscienza fino a quando, in una giornata di gennaio del 2005, ci lasciò, raggiungendo la moglie, morta tre anni prima.
Un vecchio proverbio dice: “Quando la gabbia è fatta l’uccello scappa”. E così anche lui se ne è volato via lasciando in eredità la sua opera principale, il S. Sebastian. Di lui ci resta soprattutto il ricordo di un uomo buono e gentile, che ci faceva sorridere con i suoi aneddoti, con le sue battute, e le filastrocche che insegnava alle sue nipotine. Ciao, zio Sisinio! Con affetto, Lucia.
(Anonima)
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