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Impresa e società

ANDREA AVEVA CAPITO TUTTO: ED E' NEL PANTHEON DEI GRANDI DEL LAVORO

Direte che è una fissa, la nostra, per la impresa partecipativa. Sì, lo è. Perché più studiamo e osserviamo, più le vicende dell’economia, della politica, della società, e della vita umana in generale, ce lo confermano. Ci vuole Olivetti. Non è il profitto che fa sviluppo, ma la cooperazione, la condivisione attiva, la corresponsabilità, la cointeressenza. Sul fondamento di un chiaro primato valoriale: la persona e la comunità. Con diritti e doveri, contemporaneamente e per tutti.

E non è vero che, in una fase storica di grande debolezza da tale punto di vista, per via della dominanza oscura e strafottente di una concezione finanziarista e speculativa dell’economia e non solo di essa, non vi siano esempi robusti che vanno controcorrente. Chi ci conosce ci sente nominare spesso Loccioni, ma è solo un esempio fra quelli più noti: in realtà crediamo di poter dire, per esperienza, che in Italia abbiamo decine e decine di casi simili, sottratti ai riflettori della stampa e della politica prevalenti, ma non per questo sono casi deboli o rassegnati: abbiamo anzi l’impressione, come Studisociali accennava di recente, che la piccola fiamma partecipativa, ben lungi dallo spegnersi,  stia cercando la sua strada per riprendere a divampare in fuoco benefico, e tornare a riscaldare la speranza della società in una economia a misura di persona e di comunità. In una autentica “econoimia”. Intanto… riportiamo la piccola notizia così come, con estrema semplicità, la stampa ce l’ha consegnata, qualche mese fa. E’ un altro caso esemplare. (Egius).
 
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Si tratta della bella e recentissima storia di Andrea Comand, piccolo imprenditore di trentanove anni, in quel di  Mortegliano, territorio di Udine. Un bravo piccolo imprenditore “fattosi da sé”, con la esperienza del lavoro dipendente alle spalle, con una bella famiglia, e con un bel cuore. Un tumore lo ha mortalmente aggredito però nel cuore degli anni e nel pieno della sua attività lavorativa, nel pieno della crescita della sua impresa: così Andrea è morto, pochi mesi orsono, lasciando, oltre che uno splendido ricordo di sé come persona, una sorpresa testamentaria che è scuola di vita e incoraggiamento morale per tutti.

La sua impresa era un’officina meccanica con 5 dipendenti, da lui creata nel 2011 dopo aver maturato altre esperienze di lavoro. Ebbene, nel suo testamento Andrea, consapevole di quanto gli stava accadendo, ha disposto che alla sua morte l’impresa passasse ai suoi dipendenti, alle persone cioè che con lui avevano “fatto” l’impresa stessa lavorando ogni giorno in piena condivisione di tutto: fatiche, risultati, difficoltà, soddisfazioni.

Per quanto stretto fosse il rapporto di lavoro, di amicizia, di solidarietà fra il giovane imprenditore e i suoi colleghi di lavoro, questi ultimi non si aspettavano un gesto così totale di coerenza anche al termine della vita: e hanno voluto rendere pubblico il loro sentimento con una lettera aperta. “Ci ha spiazzati – scrivono in essa Dorina Bulfoni, Andrea Benvenuto, Andrea Cuzzolin, Giuliano Fabro e Simone Zanin – con i suoi gesti istintivi, diretti, concreti, impegnativi ma fatti con il cuore. Ci ha insegnato a camminare da soli perché non era una persona gelosa del suo sapere ma orgogliosa di far crescere le persone che aveva scelto alle sue dipendenze. Siamo stati sempre coinvolti, partecipi, spronati al fine di raggiungere gli obiettivi aziendali: sempre tutti insieme, come insieme abbiamo affrontato il suo periodo di malattia”.

“Il nostro motto – aggiungono questi colleghi di lavoro e di vita – è stato sempre: Non lasciamolo solo ma stiamogli accanto come una famiglia. Lo abbiamo fatto, lo faremo restando una famiglia unita e facendo vivere il sogno di Andrea: per ringraziarlo di ciò che ci ha dato ma soprattutto per fargli ‘vedere’ che grande maestro è stato donandoci le sue quote insieme alla sua fiducia”.

Altri casi, meno rari di quel che si possa pensare, costellano questo ulteriore esempio luminoso che va ad arricchire il pantheon dei grandi del lavoro umano. Esso va assunto come scuola morale ma anche politica, imprenditoriale ed economica, perché l’unica impresa che ha effettiva sicurezza sostanziale di essere duratura e di generare sviluppo nella società in cui opera è proprio l’impresa totalmente e trasparentemente condivisa fra quanti vi operano. Non è visione semplicisticamente idilliaca, questa: tanto è vero che in essa anche la disciplina diventa più stringente, e vi hanno vita meno facile, anzi pressochè impossibile, i furbetti del cartellino, gli abbonati alle malattie del fine settimana, i parassiti che non vogliono continuare a imparare cose nuove…

E i posti di lavoro tendono a crescere.
 

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MM