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Servizi Pubblici

"BIGLIETTO, PREGO...": E TI SENTIVI SERVITO E PROTETTO

Mi dicono che l’11 novembre saremo chiamati a un referendum consultivo per decidere, come cittadini di Roma, se la gestione Atac, dopo la disastrosa prova di questi anni, vada messa a gara fra privati, oppure mantenuta in concessione ad azienda controllata dal comune, oppure passata a gestione diretta del comune stesso… Così mi pare di aver capito, genericamente. Non so bene, esattamente, di che si tratti: cercherò di informarmi meglio, sia per coscienza civica sia perché dell’Atac mi servo costantemente, viaggio con i suoi mezzi, ho la mia tessera annuale… E sono da molto tempo, e crescentemente, insoddisfatto e  sconfortato. Per il vero non mi pare che questo modo semi-silente di organizzare un referendum, per quanto solo consultivo, sia il modo migliore per affrontare i problemi della pubblica amministrazione in una città come Roma: ma non mi sottrarrò al mio diritto e dovere di votare. Intanto mi viene da ricordare qualcosa…
 
 
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Chi di voi si ricorda? Tanti anni fa, a Roma, i mezzi pubblici di trasporto non portavano sulle loro fiancate la pubblicità. Erano riconoscibilissimi anche per questo: il colore era verde, omogeneo, pulito; erano i mezzi di trasporto di tutti i cittadini. Si pagavano pochissime lire (ricordo benissimo il biglietto a cinquanta lire ma qualche amico più anziano di me lo ricorda anche a 25), e a bordo c’era, insieme all’autista, il bigliettaio. Staccava i biglietti e impediva l’evasione (dal pagamento del biglietto, non dall’autobus), controllava il buon comportamento e la tenuta in pulizia delle carrozze, dava informazioni, dava all’occorrenza anche qualche nozione di buona educazione agli utenti, proteggeva i passeggeri più deboli, fungeva da spalla per lo stesso autista, cosa preziosa specialmente nei turni di notte…
 
Gli incassi non andavano benissimo nel senso che mantenere con il solo provento dei biglietti il costo della macchina in servizio, più le due persone addette, più la struttura organizzativa di supporto (pensiline, pulizia, manutenzione dei mezzi…), effettivamente richiedeva una oculatissima gestione ed in più l’intervento di sostegno del bilancio comunale. Del resto, era appunto un servizio comunale, uno dei più importanti servizi comunali, per una città grande come Roma. Ma… che meraviglia di servizio, che splendore di sicurezza e che piacere viaggiare per Roma in quel modo!... E, relativamente ai tempi, gli stipendi dei lavoratori Atac non erano poi così bassi, anzi…
 
Poi, un giorno, a qualcuno venne l’idea geniale: perché non arrotondare le entrate dell’Atac consentendo un po’ di pubblicità, sulle fiancate esterne e all’interno degli autobus? Pubblicità decorosa, si capisce, ben educata, pulita… Come si deve su mezzi pubblici. Detto, fatto. E così venne l’arrotondamento delle entrate. Andò benissimo.
 
Dietro questa idea corretta, semplice ma pure a suo modo geniale, vennero pian piano altre idee, e nel giro di pochi anni venne l’idea genialissima: una di quelle idee che già sciamavano lungo l’Italia e che dicevano di una nuova modernità, questa volta non sociale ma di mercato (questa fu la parola magica, che veniva usata quando si parlava di economia pubblica in contrapposto alla economia privata, per la quale ormai il vocabolario giusto preferiva la parola businessl’imbastardimento della cultura sociale andava di pari passo con il crescere della terminologia e dei modelli economicistici nordamericani, e con la diffusione della lingua inglese che li portava). L’idea genialissima era… l’eliminazione fisica del bigliettaio: ma sì… roba da anni Cinquanta, il bigliettaio: roba da Italietta sentimentale. Dimezzamento dei posti di lavoro? Sì: ma… anche dimezzamento dei costi. E’ così che si fa, per far andare bene le cose. Business, diamine, benedetto business! Anzi, bisness, come lo chiamano loro, che da intelligenti quali sono scrivono diverso da come leggono e leggono diverso da come scrivono. Pare necessario che si sia brutti ed illogici, per andar di moda e, dicono loro, per far andare bene le cose (?!).
 
Per far andare bene le cose… Ma le cose di chi, scusate? Non certo della gente. Caso mai, le cose di chi già cominciava a pensare in termini di gestione amministrativa aùm aùm, fra politici che principiavano a dimenticare i padri che avevano lavorato con onestà per mettere in piedi i servizi sociali di una civiltà avanzata e solidale, senza rubare e senza straguadagnare. Politici nuovi in sostanziale connivenza di interessi con burocrati e tecnocrati di pari livello, nuovi e vecchi, e vertici analoghi di lobbies (centrali oscure di oscuri d’affari, e non, come a volte si dice traducendone il nome, corporazioni: queste furono a lungo entità ben più nobili ed aperte). E imprenditori sedicenti tali, dalla losca identità professionale, ma… attivi nella ricerca di “opportunità di bisness”.
 
Del resto, non soltanto la pubblica opinione ma neanche il sindacato dei lavoratori era ormai culturalmente in grado di contrastare una simile deriva di superficializzazione delle cose, né lo era quella che veniva ancora chiamata la “sinistra” politica in generale, preoccupata di “sdoganarsi” definitivamente davanti alla opinione pubblica più moderata e anche internazionale.
 
La qualità del servizio di trasporto pubblico, naturalmente, si sconquassò rapidamente e senza freni: e oggi “è quella che è”, come si dice. Il servizio è costantemente peggiorato, fino a oggi, e i prezzi dei biglietti sono costantemente saliti. Fino alla idea particolarmente “produttiva” del “biglietto a orario”. Dato che i mezzi non hanno orario garantito di passaggio, di garantito resta soltanto… l’entrata del biglietto. E vi pare che i conti di bilancio dell’azienda siano migliorati? Neanche per sogno. Perché… nel frattempo il direttore generale dell’Atac, mi dicono, ha come suo parametro stipendiale il doppio dello stipendio del presidente degli Stati Uniti d’America, più o meno. No, non del suo collega direttore generale della metropolitana di New York: proprio del Presidente degli Stati Uniti d’America. Per un lavoro così micidiale come quello che fa, mi augurerei di vederlo tutti i giorni sugli autobus, quanto meno, a controllare, ad assicurare il buon servizio, a prendere nota, a incoraggiare, e poi via a studiare, a progettare, a riunire il personale per migliorare ancora… A guadagnarsi il pane, insomma, sia pure un pane da presidente degli Stati Uniti d’America e oltre. Nessuno di noi sa, neanche per fotografia, che faccia abbia questo direttore generale Atac, o presidente che sia. Ciascuno di noi sa solo, come lo so io che ogni giorno mi muovo grazie ai mezzi Atac, che questi mezzi sono sempre più sporchi, sempre meno affidabili negli orari, sempre più pericolosi negli autisti palesemente non solo non formati ma neppure addestrati: l’umanità che trasportano, compresi anziani, bambini, malati, traballa, si sorregge come può, sobbalza, a volte cade… Dove sarà questo direttore generale, o presidente, che dovrebbe conoscere, controllare di persona, provvedere, vigilare, provare su di sé come funziona il suo prodotto…
 
Un po’ come il vecchio storico direttore del personale di Tirrenia Navigazione, del resto, quando il paese scoprì la fatiscenza ormai immascherabile della grande compagnia nazionale di navigazione che consentiva a noi sardi di essere collegati con l’Italia a prezzi ragionevoli (oggi di ragionevole, anche in Tirrenia, trovo a stento la scaletta o il ponte di accesso a bordo nave: e a volte neanche quella; un altro miracolo delle “privatizzazioni” da bisness).
 
Il biglietto dell’Atac costa carissimo, ormai, e rende pochissimo. Eppure all’Atac non basta ancora: come accennavo, i suoi dirigenti hanno inventato, importandolo da qualche luogo estero, anche il meccanismo del “biglietto orario”: il quale presuppone che tu possa viaggiare, al costo del biglietto, per un tot di tempo. E andrebbe bene, se i tempi di attesa dei mezzi,  e ancor più i tempi di coincidenza fra un mezzo e l’altro, non valessero da soli metà, spesso due terzi, a volte tre quarti, del tempo di validità assegnato al biglietto: come dire, paghi un’ora di trasporto ma ne passi in autobus meno di metà, e se l’autobus non passa so’ cavoli tua, per esprimerci con i romani. Perché l’autobus a volte non transita, o meglio non si sa se e quando transiterà. Se poi il biglietto ti servisse soltanto per i cinque minuti che ti occorrono da casa tua al vicino ospedale, affari tuoi: il prezzo è esattamente come se tu viaggiassi per un’ora e mezza facendo il giro della città. Più semplice di così…
 
Questa mattina, in compenso, Atac ha inviato a casa mia, per posta, un elegantissimo libretto cellophanato, dal titolo Atac Vantaggi. Commenta la stessa copertina, alla lettera: Fila via su Atac.roma.it. Da oggi puoi richiedere e ricaricare online il tuo abbonamento annuale o mensile su card elettronica. Fai subito un salto sul sito Atac e scopri quanto è facile, comodo e veloce. Chissà se i compagnoni dell’Atac si rendono conto dell’ironia di quell’ultimo facile, comodo e veloce. Caratteristiche quotidiane dei loro autobus, come sanno i romani!
 
Piuttosto stanco e indignato, apro il libretto per la curiosità di vedere fino a che punto arrivi l’impudenza: ma non arriva ad alcun punto. Tutto c’è, nel libretto, tranne ciò che riguarda il servizio Atac ai cittadini, che è l’unica cosa per la quale i cittadini vogliono essere disturbati dall’Atac. L’Atac invece ti parla,  con le pagine fitte fitte fitte e sceme sceme sceme di questo libretto, di tempo libero e shopping (in inglese, per carità, si sa mai gli utenti subodorassero l’imbroglio), di cultura (persino) e musei, di teatro e musica, di assicurazioni e carte di credito. E nelle ben sessantadue pagine fitte fitte fitte e sceme sceme sceme si susseguono Vitaldent Unicredit Acquacottorella Romacalcio Rainbow Corsiditedesco Casina di Raffaello Salaumberto e mille e mille altre cialtronerie (che tali non sarebbero se stessero al loro naturale ed onesto posto; ma stanno solo ad aiutare Atac a fregarci tutti, facendoci dimenticare disservizio e stracosto dei biglietti, che è l’unica cosa che ci importa).
 
Ma no… ho detto che tutte queste cose sono “fitte fitte fitte e sceme sceme sceme”: non è vero; non sono affatto sceme per quei bravuomini (e brave donne: purtroppo è proprio una condizione di “pari opportunità”) che dentro la festaiola cuccagna hanno fatto fino a oggi affari d’oro: lauti stipendi, poco lavoro, nessuna responsabilità. Più bravi di così… Alzo gli occhi al cielo (o, meglio, al tetto dell’autobus, perché è da lì che mentalmente vi penso e vi parlo, in attesa di scrivervi, e gli occhi mi sbattono sulla pubblicità appesa a nastrini che ti arrivano sulla fronte, o incassata nelle commessure dei finestroni, e vedo una frase ambigua e lubrica che vorrebbe fare pubblicità a un profumo: già, l’ingresso dei soldi da fonte pubblicitaria non serve ad aiutare il dubitabile bilancio Atac ma a ricordare ai superstiti del buonsenso che a tutto sono interessati i dirigenti incravattati dell’Atac e del Comune, fuorchè al problema educativo che la pubblicità può porre per i nostri ragazzi, persino nei mezzi del trasporto pubblico. Criptopornografia, ma… ciò che conta sono i soldi, infine. Continuare così?...
 
Dicono che il giorno 11 novembre saremo appunto chiamati a referendum consultivo per stabilire se la gestione Atac dovrà essere messa a gara fra privati o restare pubblica. A me pare un’ulteriore cialtroneria a danno di tutti noi: non è infatti questione di gestione privata o pubblica, ma di regole, di cultura e di moralità, comprese le funzioni sacrosante e trascuratissime di controllo. Con responsabilizzazione di tutti, compresi i cittadini utenti.
 
                                                                                                                             (Giuseppe Ecca)
 
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