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Managerialità

CHE VE POSSINO VUCA'...

 
Il “Dirigente”, mensile di Manageritalia, nel suo numero di ottobre 2017, alla pagina 18, pubblicava un articolo intitolato “Management: Lavorare in un mondo Vuca”.  Firmato dal “direttore Institute for Enterpreneurship and Competitiveness”, e dal “presidente di Akron”, di cui omettiamo i nomi; per le persone infatti esprimiamo rispetto e comprensione, per alcune idee invece, quando è il caso, come questo, siamo presi da brividi di meravigliato sconforto e di decisa criticità. Quanta superficialità viene ripetuta con sussiego e passata per cultura d’impresa…
 
Ci è tornato in mente quell’articolo perché, in piena durissima lezione di carognavirus, non ci pare di cogliere, nella imprenditoria mondiale né in quella patria di questi giorni tormentati, alcuno sforzo serio per capire più profondamente il mondo nel quale viviamo e le sue esigenze di bene comune anche in economia. Come sarebbe necessario. Ed è come se quel povero articolo fosse scritto oggi. Il lato positivo del carognavirus, contraltare di quelli negativi, avrebbe proprio dovuto essere infatti quello di insegnare come va stabilmente corretta l’economia, e con essa anche l’organizzazione del lavoro, o meglio i loro attuali putridi vizi, perché siano entrambe, economia e organizzazione del lavoro, un poco più a misura di persone e non di “business”, e la prossima possibile epidemia ci colga meno impreparati.
 
Così va infatti, purtroppo, ancora oggi, il mondo del “business” A colpi di “business”, come in una sorta di malmascherata logica permanente di “profitto di guerra”. Non si è in pace se non si parla e non si venera e non ci si mostra adeguati al mondo del “business”, se non è il “business” che regola l’economia e il lavoro. Non c’è nulla da imparare né da migliorare, c’è il “business”…
 
Il mondo del “business”… Che non è il mondo del lavoro, badate bene, e non è neanche il mondo dell’economia, e non è neanche il mondo della sana impresa, non è comunque il mondo della comunità umana solidale che lavora (non fatevi illusioni e non lasciatevi trarre in inganno da chi vi dice il contrario!).
 
E’ il mondo del “business”, appunto: cioè, il mondo di quelli che fiutano l’occasione e ci provano, o ci si gettano a capofitto, scommettono con astuzia e tentano con tecnichette avvolgenti di arraffare affari per scappare subito dopo, far perdere le loro tracce e andare in cerca di altre occasioni similari, in altri ambienti o con altri volti, fuggendo sempre, abbrancicati a un malloppo che sperano sempre più consistente, che a volte lo è ed a volte invece li schiaccia improvvisamente come vermi e si sparge in altri rivoli in attesa di chi lo acchiappi con la stessa famelica voracità per venirne schiacciato con la stessa demoniaca crudeltà. E’ il business, signori…
 
In mezzo a un turbinio di vincitori che banchettano e di macelli sociali che sono le carni vive delle relative vittime. E il mondo va avanti: o, per esprimerci correttamente, indietro…
 
Il mondo del business… insomma, il mondo di quelli per i quali l’economia è sostanzialmente furbizia in affari, è fiuto dell’opportunità contingente, e questa è la cosa essenziale nella vita. L’unica consistenza che misuri veramente il successo personale o di famiglia o d’impresa, alla fine, sono infatti i soldi, il più grande accumulo di soldi che sia possibile. E, per farcela, occorre vincere sugli altri il più possibile, e occuparne lo spazio. E mantenere ben salda e alta la bandiera dei profitti, degli utili e dei diagrammi annuali o semestrali o addirittura mensili e settimanali (tanta è la follia) di budget. Poi, si potrà anche fare qualche elemosina o qualche “progetto sociale” per tacitare qualche sussulto di coscienza o di buonsenso.
 
Il business scambiato per economia: un’autentica droga inebetente, a danno di chi ci casca ma anche di tutta la comunità, che siamo noi, con i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri vicini meno fortunati o meno forti, il nostro pianeta, il futuro di tutto.
 
Ma voi, ripeto, non temetela, questa droga: la potete individuare e neutralizzare, e combatterla attivamente; a patto di guardare bene in faccia la sua anima demoniaca e tenerla lontana da voi: a voi, a noi, deve infatti interessare, al suo posto, la sana e semplice e produttiva e intelligente e creativa e lungimirante economia che condivide fra tutti e con tutti il lavoro utile e i suoi risultati e le sue opportunità, in trasparenza, facendo crescere il bene-essere di tutta la comunità. Il lavoro produttivo che mette in opera i talenti individuali a beneficio di tutti, ed a tutti offre utilità in servizi e prodotti, senza inventare bisogni fasulli o indurre motivazioni artificiose con l’aiuto di tecnichette  di marketing scaltro e ingannevole che tende a cogliere di sorpresa l’inconscio dei clienti ed a frastornarlo… La sana impresa produttiva che condivide i risultati anche economici con i suoi lavoratori e con la società complessiva… Come insegnava Olivetti, ad esempio, ma con lui tanti, tanti altri stranamente trascurati da cronache e università. Basterebbe pensare a Caffè, a Keynes, a Roosvelt…
 
 
Oggi, in barba al carognavirus ed anche al semplice buonsenso (senso buono) quelli del business sembrano addirittura più che mai intenzionati a continuare a inocularvi in modo particolarmente insistente e accattivante, come fosse cosa lecita e seria (anche il manicomio universitario, dove loro dominano le cattedre di economia, ogni triennio o quinquennio rinnova il suo pieno di matti e di matte novità sloganistiche) che il business è fra l’altro, nientedimeno, come scrivevano i due amici dell’articolo citato, Vuca:
  • Volatility
  • Uncertainty
  • Complexity
  • Ambiguity.
 
Ma va’?!...
Mio nonno e mio padre, caprari analfabeti della Sardegna di quasi un secolo fa, sapevano benissimo questa banalità sociologica ma non la trasformavano in cretinata prosopopaica da master a pagamento. Restava conoscenza della banale quotidianità della vita e ne traevano piccola ma tenace saggezza di vita quotidiana. Saggezza notissima da millenni a tutte le persone sagge: quelle che fuggivano il male e cercavano il bene e il buonsenso (il “senso buono”, dicevamo), anche in economia, quelle che producevano e non speculavano, e neanche… sentivano il bisogno di esprimere tanta saccenza con tanto rumore di parole, e tanto meno di esprimerla nello stucchevole grugnibelato anglofono, ma, caso mai, in dignitoso sardo o in sano e meditoso italiano. Quelle, insomma, che una saggezza millenaria,  espressa in una frase o proverbio, la sapevano far durare per generazioni senza sentire il “bisogno di marketing” di imbellettarla con una formuletta accattivante e stupida ma dal suono nuovo e dalla veste inebriantemente bocconiana.
 
Manageritalia mia, e tu dai retta e ospitalità e tempo e spazio a simili scempiataggini, senza sentire, neanche tu, il dovere culturale e morale ed etico e politico di assumere, a ventunesimo secolo inoltrato, il timone della nostra barca culturale verso un vento meno disperato, insensato e puerile?! Ma dai, svegliati e torna a casa, la casa di una cultura sindacale e dirigenziale dove regnano valori e tecniche al servizio di valori e di benessere condiviso…  
 
                                                                                                                                      (Giuseppe Ecca)
 
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MM