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CATTOLICI E POLITICA: E' RICOMPONIBILE IL DIVORZIO?

 
Il titolo può sembrare stantio, ripetitivo, persino noioso. Ma Giuseppe Bianchi lo sottopone ad argomentazione particolarmente solida, non limitata ai consueti rilievi sociologici, ma spinta alla ricerca di una risposta fondata su ragioni più strutturali e di lunga gittata. Del resto, a nostro parere, fino a che una risposta chiara non venga data dalla stessa oggettività degli eventi del nostro paese, il quesito resta di importanza altissima, e non solo per l’Italia.
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L’occasione creata dal centenario della fondazione del Partito Popolare, ad opera di Don Sturzo, ha riproposto l’impegno dei cattolici in politica che, come è noto, è proseguito con la Democrazia Cristiana, asse centrale del Governo per oltre quarant’anni.
Una cultura ed una rappresentanza oggi dispersa sul piano politico con significative presenze rimaste nelle organizzazioni di volontariato. Analoga sorte è capitata ad altri movimenti politici laici portatori di culture altrettanto solide e consolidate sul piano della rappresentanza.
Fenomeno questo evocato come crisi delle ideologie del Novecento di cui i partiti erano espressione con le loro identità collettive in cui motivazione, ideali e azione politica si sostenevano tra loro, almeno nella rappresentazione offerta al comune cittadino. Sarebbe inutile ora parlare di questo passato se il presente non evidenziasse segni di regressione nella vita politica e civile del Paese.
Il dato emergente è che la politica post-ideologica, avviata da Berlusconi e proseguita dalle successive maggioranze per arrivare a quella attuale, ha assunto un connotato fortemente utilitaristico basato su uno scambio tra benefici economici e consenso politico. Nuove offerte politiche, in concorrenza tra di loro, che si fanno carico di offrire protezione al cittadino, disorientato di fronte alle nuove sfide della precarietà sia essa economica che valoriale.
Due sono gli effetti di accompagnamento di questa evoluzione politica: il cittadino non più partecipe della galassia dei corpi intermedi che, soprattutto a livello locale, lo legavano alla politica, cerca nuove identificazioni in qualcuno che lo rappresenti e lo rassicuri; la nuova concorrenza tra i partiti per acquisire consenso si realizza nella generosità delle promesse che avallano una concezione totalizzante della politica, destinataria esclusiva dei bisogni dei cittadini.
Questa riaccreditata concezione di Stato Provvidenza, alla prova dei fatti non ha prodotto i risultati attesi: sia in termini di soddisfazione dei bisogni economici ed occupazionali dei cittadini, sia in termini di risposta alle inquietudini derivanti dalla messa in discussione di consuetudini e di credenze sfidate dai nuovi sviluppi scientifici la cui irradiazione coinvolge l’insieme del loro vissuto.
A questo punto diventa legittima una domanda: questa politica ha le energie morali per offrire un futuro al cittadino visto che non tutto è riconducibile a decisioni politiche ispirate dalla razionalità economica (reale o presunta) e/o dalla soddisfazione degli interessi individuali?  Conseguente l’ulteriore domanda che ci riporta al tema iniziale: la cultura cattolica può contribuire a rendere le nostre società più sicure e solidali? Dal punto di vista astratto la risposta non può che essere positiva: per la centralità che viene data alla persona ed ai gruppi in cui si riconosce che riposiziona la politica al servizio dei loro obiettivi; per il rilievo accordato ai valori del pluralismo sociale, della sussidiarietà con cui sconfiggere l’isolamento dei cittadini facendoli partecipi di una rete di aggregazioni comunitarie.
Sul piano pratico tale prospettiva si presenta più problematica. Improbabile un nuovo partito dei cattolici, oggi minoranza dispersa, improponibile un ritorno nostalgico alla Democrazia Cristiana esaurita dal troppo lungo governo, fragile l’ancoraggio alla dottrina sociale della Chiesa alla luce dei mutamenti strutturali intervenuti.
Una soluzione può essere offerta da un rinnovato appello, a cent’anni da quello sturziano, agli uomini liberi e forti che condividono ideali di libertà e di giustizia e che si riconoscono nei fondamenti dei valori cristiani.
Un appello rivolto ai cattolici praticanti, ma anche ai cattolici insofferenti nei confronti delle prescrizioni ecclesiastiche troppo limitative delle loro condizioni di vita.
Un appello per un comune impegno culturale, prima che politico organizzativo, che accresca la consapevolezza pubblica della modernità e dei problemi inediti che essa produce sui diversi piani della vita in comune, grazie ad un supplemento di virtù che l’umanesimo cattolico può portare alla politica. I cittadini per partecipare alla politica chiedono che non solo i loro interessi ma anche che i loro valori, i loro progetti di vita trovino accoglienza nel dibattito pubblico nella condivisione delle procedure democratiche che ne determinano l’esito.
Questo circuito virtuoso di partecipazione presuppone cittadini informati e consapevoli che la pratica dei doveri è il presupposto per il godimento dei diritti.
                                                                                                                (Giuseppe Bianchi)
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DIZIONARIO PROGRAMMATICO A PARTECIPAZIOE DIFFUSA

I temi proposti non sono in ordine gerarchico bensì alfabetico: vogliono costituire infatti i tasselli di un lavoro collettivo di elaborazione “a scorrimento continuo” delle linee di programma dell’Associazione, con la partecipazione aperta e permanente di iscritti, esperti e cittadini. Soprattutto, di iscritti. E’ uno strumento di lavoro informale approvato dagli organi associativi e da essi vigilato, e che, con la loro approvazione ufficiale, acquista nei suoi contenuti, via via, il crisma del documento formale di impegno dell’Associazione.
 
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Acqua. E’ un bene comune, non privatizzabile. La responsabilità di garantirne qualità e quantità sufficiente a prezzi sociali appartiene alla mano pubblica in senso diretto. Alla mano privata non possono che essere riservati ruoli di carattere nettamente sussidiario, ininfluenti sulle politiche relative a questo bene. E’ escluso a priori che dall’acqua si possa trarre profitto privato a qualunque titolo.
Adesioni a DemocraziaComunitaria. Le domande devono essere presentate sul modulo predisposto dalla sede centrale e firmato dall’aspirante socio, con il corredo dei dati personali e della quota associativa o di una ricevuta del suo versamento. La domanda è perfetta ed accolta all’adempimento di tale modalità ed alla firma di accettazione del presidente nazionale. In ogni territorio comunale, il primo socio è anche referente organizzativo per la costituzione dei relativi organi non appena altri soci avranno perfezionato la loro adesione. In fase di avvio dell'Associazione possono essere stabilite modalità di adesione semplificate.
Ambiente. E’ un bene comune, non privatizzabile. La responsabilità di mantenerlo tale appartiene direttamente alla mano pubblica. La legge stabilisce la proporzione tassativa di superficie verde da salvaguardare in ogni opera manufatta, pubblica e privata.
Authorities. Le autorità di settore, gemmate, sul modello di organismi funzionanti negli Stati Uniti in diverso contesto culturale, sono venute manifestandosi organismi costosi e, alla fine, non adatti a costituirsi come garanti super partes nelle materie di cui si occupano: così da porre ormai la esigenza di un ritorno alle naturali fonti di garanzia costituite dal parlamento, dai comitati interministeriali e dai loro già storicamente sperimentati strumenti di lavoro. Risparmiando gran parte dei relativi costi.
Autonomia differenziata. DemocraziaComunitaria è contraria al principio delle autonomie differenziate. Le autonomie sono un immenso valore di democrazia, di personalismo, di solidarietà e sussidiarietà, e proprio per questo devono essere più che mai vere, forti, sostanziali, facilmente praticabili, tali da rinforzare uguaglianza, solidarietà e potere partecipativo fra cittadini nei confronti dello Stato di tutti: non devono invece mai essere fonte e pretesto di separatezza confonditrice fra normative e condizioni di cittadinanza. In questo quadro, anzi, DemocraziaComunitaria conferma anche che è ormai maturato il tempo di abolire la differenziazione storica fra regioni ad autonomia speciale e regioni ad autonomia ordinaria: tutte le regioni devono essere ricondotte alla medesima autonomia ordinaria prevista dalla Costituzione repubblicana, in quanto sono radicalmente superate le ragioni storiche che motivarono nel 1948 la nascita delle autonomie speciali in capo ad alcune di esse. Le regioni devono piuttosto venir sottoposte a più efficaci ed effettivi diritti di intervento, controllo e partecipazione da parte dei Comuni e dei cittadini, e dello stesso Stato, in materia di gestione delle risorse finanziarie ed economiche affidate.
Autostrade. La rete autostradale nazionale italiana, cioè quella che collega fra loro tutte le regioni italiane  in un unico sistema strategico, intorno al quale vivono e pulsano le altre categorie di strade (statali, provinciali, etc,), appartiene per stretta e intima natura alla categoria tecnica e politica delle “infrastrutture critiche” del paese: quelle infrastrutture, cioè, che costituiscono l’ossatura strategica, ineliminabile e indivisibile, che sostiene  e realizza l’unità sistemica e la sicurezza del paese. Essa non può pertanto, in via di principio inderogabile, essere altro che pubblica e statale sia nella proprietà sia nella gestione. Qualunque sia stata dunque a suo tempo la motivazione che ha malauguratamente e inefficientemente indotto lo Stato ad affidare tale rete in concessione a privati, essa va assolutamente riacquisita alla piena e contestuale proprietà e gestione dello Stato medesimo, quale integrante, diretto e insurrogabile strumento del bene comune.
Banca. Il miglioramento verso semplicità, controllabilità e trasparenza delle leggi relative all’attività bancaria parte dal ripristino di una netta differenziazione fra banca ordinaria di risparmio e investimento, e banca d’affari o speculativa. DemocraziaComunitaria vede con particolare favore il ripotenziamento di una cultura diffusiva delle forme bancarie popolari e cooperative, la riacquisizione allo Stato di una banca nazionale per la tutela del risparmio dei cittadini, e la valorizzazione del risparmio collettivo in sede d’impresa.
Conflitti d’interesse. DemocraziaComunitaria propone una più tassativa definizione dei casi nei quali si debba dare esito a una pura e semplice incompatibilità non sanabile.
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. DemocraziaComunitaria ne propone il superamento puro e semplice per esaurimento dei suoi compiti storici. 
Consumo del territorio. Anche l’Italia è diventata un paese che, specialmente in alcune regioni, vede ormai diventare preoccupante il problema del “consumo del territorio”, un consumo talmente vasto e nello stesso tempo abusato, da porre al paese stesso un quesito urgente circa il suo equilibrio ambientale di lungo periodo. DemocraziaComunitaria propone di stabilire un vincolo rigido alla percentuale di territorio consumabile (cementificazione e forme assimilabili di scomparsa del terreno vergine) per ogni unità di costruzione. Inoltre propone di rendere concretamente più severa e snella la funzione di controllo e salvaguardia attiva del patrimonio forestale e idrogeologico del paese.
Costi della politica. DemocraziaComunitaria propone l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, a favore di un finanziamento libero da parte di ciascun cittadino nei confronti del partito in cui si riconosca. Riconosce il valore politico-istituzionale dei partiti nei termini esplicitati dalla Costituzione, e il relativo sostegno, esclusivamente nella forma della fornitura, a ogni formazione politica che abbia rappresentanza in parlamento, di una sede operativa, unica per tutto il territorio nazionale, con spazi limitati alle esigenze di funzionalità essenziali, con corredo di linea telefonica, computer, stampante, collegamento internet e similari secondo ragionevole coerenza. Escluso ogni altro supporto, che è da considerare strettamente riservato alla privata organizzazione del partito medesimo.
Diritto e obbligo della formazione. Fino alla maggiore età la vita dell’individuo è dedicata in misura privilegiata alla formazione integrale della personalità, affidata innanzitutto alla famiglia con il sostegno della scuola: quest’ultima deve costituire, prioritariamente, un sistema pubblico a costi sociali fino all’università, aperto a tutti, nel rispetto per la eventuale scelta della singola famiglia che preferisca rivolgersi a scuole private; le quali ultime non avranno diritto a sostegno pubblico che vada al di là della corresponsione alle famiglie del costo che lo Stato sostiene per ogni suo alunno della scuola pubblica. Le scuole private non potranno comunque rilasciare titoli aventi valore di legge.
Emolumenti per incarichi pubblici. DemocraziaComunitaria sostiene una equa proporzionalizzazione reciproca fra gli emolumenti riservati alle cariche pubbliche, elettive e non elettive, a tutti i livelli compreso quello parlamentare e tutti quelli dirigenziali, assumendo a riferimento i trattamenti previsti dalle normative collettive generali e l’andamento complessivo del reddito nazionale, nonché i carichi di lavoro effettivamente affidati e gestiti.    
 
Esame di Stato per l’accesso alle professioni. Con il riconoscimento del titolo di studio istituzionale esigito per accedere a una determinata professione, ad esempio la laurea in giurisprudenza per lo svolgimento dell’attività legale, o la laurea in medicina per l’accesso alla professione medica, il cittadino acquisisce il diritto di accedere effettivamente a tale professione, senza necessità di ulteriori “esami di Stato” quali lasciapassare, che rappresentano un abuso sia concettuale sia morale sia politico da parte dello Stato e delle organizzazioni professionali nei confronti del cittadino stesso. DemocraziaComunitaria sostiene pertanto la pura e semplice abolizione di tali “esami di Stato” per l’accesso alle professioni, e sottolinea piuttosto la logica, ove sia il caso, di restituire ai titoli di studio rilasciati al termine dei curricoli scolastici istituzionali una adeguata rispondenza di preparazione effettivamente certificata negli studenti.
 
Etica pubblica. L’etica dei comportamenti anche personali è esigita con particolare forza in tutti i soggetti che svolgono funzioni pubbliche. Ogni ruolo pubblico è proprietà morale della collettività ed è incompatibile con qualsiasi comportamento che violi la fede pubblica. Tale eventuale comportamento va perseguito d’ufficio.
Europa. Il ritorno ai padri fondatori, in particolare De Gasperi, Schumann, Adenauer, che anteponevano la messa in comune delle risorse e della solidarietà valoriale alla dominanza economica e finanziaria, è obiettivo esplicito e vincolate di DemocraziaComunitaria.
Farmaci. Impensabile che possano essere ambito di puro e semplice mercato privato, lo Stato cura sia il corretto controllo della loro qualità scientifica ed etica rispetto alla loro funzione di servizio nei confronti della qualità della vita personale e sociale, sia la loro equa accessibilità economica a tutti i cittadini nel quadro del Servizio Sanitario Nazionale.
Finanziamenti pubblici. DemocraziaComunitaria sostiene l’abolizione di ogni forma di finanziamento all’editoria, compresa quella di partito. Sostiene inoltre una politica di rigorosa severità in materia di controlli, in corso ed ex post, sull’utilizzo completo e tempestivo dei finanziamenti pubblici in generale, e sulla loro coerente finalizzazione.
 Fisco, sistema generale. Il controllo della evasione deve diventare più severo in parallelo con la semplificazione normativa e la riduzione della giungla delle differenziazioni impositive. All’autonomia impositiva di regioni e comuni va preferita una partecipazione delle stesse pro-quota nella fiscalità generale. Un trattamento fiscalmente incentivante è giusto prevedere a livello di impresa per gli utili reinvestiti nell’impresa stessa rispetto a quelli distribuiti ad azionisti e lavoratori.
Fisco e trasparenza. Oltre alle imprese-persone giuridiche, anche ogni persona fisica è imprenditrice in senso sostanziale, partecipando al processo produttivo e alla formazione del prodotto interno lordo attraverso il suo lavoro e la conseguente attivazione e spendita del suo reddito nel circuito dell’economia. In tale quadro DemocraziaComunitaria ritiene efficiente, equo e trasparente un sistema fiscale che incentivi la fatturazione di ogni transazione e, tendenzialmente, la generalizzi. Ogni spesa sulla quale viene pagata l’iva deve poter essere dedotta dall’imponibile in sede di dichiarazione dei redditi. Tale sistema consente, oltretutto, attraverso il concreto interesse del cittadino alla fatturazione del bene o servizio acquistato, una lotta efficace alla evasione fiscale ed alla economia sommersa, generando una massa di risorse fiscali tale da consentire anche una significativa riduzione dell’attuale iniqua ed inefficiente pressione del fisco stesso su cittadini e imprese.
Formazione dei prezzi. Un intervento più stringente, soprattutto di controllo, da parte della mano pubblica, è necessario in materia di formazione dei prezzi relativi a beni di pubblica utilità rilevante, come ad esempio la casa, i carburanti, i medicinali, a evitare distorsioni speculative. La stessa mano pubblica non deve escludere il suo intervento diretto come imprenditrice di libero mercato nei casi in cui non vi siano diversi strumenti atti ad assicurare prezzi equi a beni essenziali.
Formazione interna. DemocraziaComunitaria: è soggetto di formazione permanente nei confronti di tutti i suoi aderenti. L’attività di formazione, oltre a essere concepita come permanente e diffusa, è anche articolata fra coordinamento centrale e autonomie del territorio. Tenendo conto della sua missione, l’associazione può offrire opportunità formative anche ai non iscritti.
Giustizia. Lo snellimento dei tempi processuali, la effettiva esecuzione delle sanzioni e la effettiva accessibilità dei costi per tutti sono elemento essenziale per la credibilità e la giustizia amministrata dallo Stato nei confronti di tutti i cittadini, ed hanno importanza fondativa pari a quella della chiarezza, semplicità ed equità delle normative di riferimento.
Imposte, progressività e proporzionalità. DemocraziaComunitaria sostiene un criterio severamente proporzionalista della imposizione fiscale, ritenendo che esso costituisca nel ventunesimo secolo la lettura più avanzata, efficiente ed equa del concetto di progressività espresso dalla Costituzione italiana. Se tutti i cittadini pagano la medesima percentuale di imposte sul loro reddito, ciò costituisce una semplificazione gestionale del sistema e una conseguente facilitazione degli adempimenti relativi, uno strumento di più facile controllo e correzione equitativa degli eventuali squilibri ingiusti nella distribuzione del reddito, e insomma un elemento di trasparenza dell’intero sistema.
Impresa. Essa va sostenuta come bene di inestimabile valore per tutta la comunità; ne va perciò semplificato il processo burocratico di nascita, e facilitata la propensione allo sviluppo, soprattutto attraverso un tangibile snellimento delle normative riguardanti le autorizzazioni, i controlli ed il credito. DemocraziaComunitaria favorisce il modello d’impresa partecipativa nelle sue diverse forme possibili, dalla cointeressenza nei risultati alla cogestione ed alle forme variamente cooperative.
Impresa privata e impresa pubblica. Superando i contrapposti eccessi storici di interventismo assistenzialista e di privatizzazione pregiudizialmente preferenziale, DemocraziaCooperativa è favorevole a una ottica diffusa di liberalizzazione senza privatizzazione, per quanto attiene al campo delle imprese pubbliche che si occupano di beni e servizi essenziali o primari per la dignità e lo sviluppo delle persone. Senza rinunciare alla propria partecipazione diretta nella erogazione di tali beni e servizi, lo Stato e gli enti territoriali di decentramento consentono che l’iniziativa privata, sia con scopo di lucro sia senza scopo di lucro, partecipi competitivamente a tale erogazione, senza sussidi pubblici.
 Innovazione. DemocraziaComunitaria è per introdurre forme di tutela semplice ed efficace per quanti depositano  brevetti o sono autori di importanti  realizzazioni o idee artistiche e culturali. Nei limiti delle risorse disponibili, una politica di premialità per la innovazione efficace è tra le priorità che DemocraziaComunitaria sostiene nel contesto delle politiche di sviluppo.
Intervento dello Stato in economia. E’ possibile ed è doveroso l’intervento dello Stato, come pure, ai rispettivi livelli, della regione e del comune, sia direttamente come imprenditore in regime di liberalizzazione quando si tratti di beni incidenti direttamente sulla qualità essenziale di vita delle persone, sia indirettamente con efficaci politiche di sostegno ai consumi, sempre nel campo dei beni relativi alla dignità e allo sviluppo della persona.
 Lavoro. Fonte essenziale di dignità e fondamento della repubblica, il diritto al lavoro è un diritto soggettivo e non una semplice legittima aspettativa. DemocraziaComunitaria sostiene in tal senso una lettura precettiva della Costituzione. La realizzabilità di questo diritto si fonda su una politica sicura di redistribuzione sia delle opportunità di lavoro sia dei redditi in generale, a cominciare dalla riduzione della forbice immorale attualmente esistente spesso anche all’interno delle imprese. Il trattamento economico della dirigenza deve essere in questo senso collegato e non scorporato da quello di tutti gli altri lavoratori. DemocraziaComunitaria propone la riorganizzazione del sistema pubblico tradizionale di collocamento per trasformarlo in moderno istituto dell’accompagnamento attivo al lavoro. Correlativamente, una concezione precettiva del diritto al lavoro esclude che esso possa venir interpretato come diritto al “posto fisso”. Con pari importanza rispetto alla sua dimensione di diritto, infine, il lavoro è un dovere primario del cittadino e di chiunque viva nell’ordinamento giuridico dello Stato.
Legge elettorale. DemocraziaComunitaria ritiene una democrazia non compiuta, e anzi vistosamente e negativamente limitata, quella che si esprime attraverso sistemi a liste bloccate. Occorre che i cittadini abbiano la possibilità di scegliere persone, o persone e liste, ma mai solo liste. Il sistema elettorale che DemocraziaComunitaria valuta meglio rispondente alle esigenze della democrazia italiana è quello che ha come punto di riferimento il “collegio uninominale secco”. Centralizzando l’attenzione sulla singola personalità del candidato da eleggere, sia egli espressione di un partito o meno, essa stimola il candidato medesimo ad assumersi diretta ed intera la responsabilità di rappresentare la comunità che lo elegge.
Mediterraneo. Il “lago comune” delle tre grandi religioni monoteiste, nostro comune “lago di Tiberiade” secondo la fascinosa espressione di La Pira, è per DemocraziaComunitaria una dimensione di pari dignità rispetto a quella europeista, per una politica del dialogo permanente e solidale.
Mercato. Lo Stato è chiamato a svolgere funzione di garante del mercato per tutte le componenti di esso, operando attivamente, in particolare, per il rispetto e la tutela dei soggetti deboli nei confronti di distorsioni speculative. 
 Numero chiuso nelle università. Va superato in considerazione del valore intrinseco della formazione universitaria, che non può essere concepita come finalizzata al mercato del lavoro ed alle sue esigenze, bensì alla formazione compiuta e integrata della persona ed alla massima valorizzazione concreta della ricchezza culturale di tutta la società.
Onu. Il cammino delle Nazioni Unite è verso un autentico parlamento dei popoli; in tale spirito deve venir sviluppato, gradualmente ma senza attendere, il rinnovamento delle norme regolative del consiglio di sicurezza, sottraendone composizione e metodo di lavoro agli equilibri ormai inadeguati scaturiti dalla seconda guerra mondiale.
Ordini professionali. La semplificazione dell’accesso e una più evidente esigibilità del codice etico sono, per DemocraziaComunitaria, passaggi necessari ma che non escludono il possibile superamento degli stessi ordini, a favore di istituti di più snella, accessibile e trasparente tutela delle garanzie di professionalità e di etica nei rispettivi settori. Anche l’assetto istituzionale degli ordini ha infatti come valore di riferimento il bene comune.
Pandemia 2020. DemocraziaComunitaria è convinta, in linea generale, che le emergenze di carattere straordinario vadano affrontate innanzitutto facendo funzionare bene le strutture, gli strumenti ed i servizi ordinari. Nel caso specifico della pandemia 2020 da coronavirus vanno innanzitutto perfezionate dovunque la efficienza e la qualità del servizio sanitario nazionale. A tale impegno va aggiunto dovunque un supplemento di valorizzazione delle sinergie positive con le realtà della sanità privata e del volontariato ovunque sia possibile. Per quanto attiene a quello che DemocraziaComunitaria ha sempre definito “rischio di pandemia economica e sociale come effetto della pandemia sanitaria”, DemocraziaComunitaria ritiene che le attività economiche ed il lavoro non debbano essere bloccate ma semplicemente e adeguatamente rallentate e distanziate, utilizzando comunque le eventuali misure economiche di ristoro per realizzare occupazione aggiuntiva e investimenti di sviluppo che consentano appunto gli accennati rallentamenti e distanziamenti fisici del lavoro attraverso prolungamenti idonei dei tempi di lavoro e di servizio: mai per realizzare misure di puro assistenzialismo passivo.
Parlamento. DemocraziaComunitaria propone la riduzione del numero dei deputati da 630 a 500, e dei senatori da 315 a 250. Propone inoltre l’abolizione della figura dei senatori a vita di nomina del presidente della repubblica, e la unificazione, in logica di tendenziale unicameralità del parlamento, di un significativo numero di funzioni fra le due Camere.
Pensioni. Così come per la forbice delle retribuzioni all’interno delle imprese, adeguati rapporti di equità vanno costruiti nel campo delle prestazioni pensionistiche, senza eccezioni di categorie e con la universalizzazione rigorosa del metodo contributivo. 
Persona e famiglia. DemocraziaComunitaria è associazione di personalismo sussidiario e solidale. La persona è centro di imputazione di tutti i diritti e di tutti i doveri. Essa si sviluppa innanzitutto nella famiglia, che perciò deve essere protetta a sostenuta attraverso la tutela attiva della paternità e della maternità responsabile, attraverso servizi di assistenza, cura e formazione dei giovani, attraverso una organizzazione del lavoro che oltre ad assicurare il diritto a una occupazione produttiva faciliti forme di telelavoro e flessibilità organizzativa tutte le volte che siano compatibili con le esigenze oggettive della giusta produttività aziendale.  
Posizione costituzionale delle regioni. DemocraziaComunitaria ritiene maturati i tempi per parificare la dignità costituzionale fra regioni attualmente a statuto ordinario e regioni attualmente a statuto speciale. Appaiono infatti ormai superate le ragioni straordinarie che storicamente giustificarono tale differenziazione.
Progressività di pene e sanzioni. Sia la consapevolezza della fallibilità umana in generale sia lo scopo pedagogico che sempre deve accompagnare pene e sanzioni, esige un criterio di oculata ed efficace progressività delle stesse. In tal senso la legge stabilisce per ogni infrazione, sulla base della relativa gravità, la pena o sanzione minima di base: su questa il giudice applicherà in ogni caso di reiterazione di colpa la misura aggiuntiva esigita da equità e giustizia.
Province ed altri enti intermedi. DemocraziaComunitaria propone l’abolizione pura e semplice delle province, e di tutti gli altri enti territoriali intermedi fra comune e regione, fatte salve le possibili libere semplici fusioni o anche associazioni o consorzi di comuni per la gestione di singoli servizi.
Reati economici e finanziari. La certezza e tempestività di esecuzione delle sentenze è prioritaria soprattutto per i casi di violazione della fede pubblica. Si impone comunque una revisione del sistema che restituisca prudenza ed eccezionalità agli istituti degli sconti di pena, dell’amnistia e dell’indulto, particolarmente nel campo dei reati commessi ai danni dell’intera società civile e della citata fede pubblica.
Riferimento culturale e valoriale dell’azione democratico-comunitaria. Esso è costituito essenzialmente da: a. la storia del cattolicesimo democratico in Italia, nella sua interezza; b. la dottrina sociale della Chiesa e gli insegnamenti del suo magistero; c. la Costituzione italiana e tutto il patrimonio culturale e ideale di testimoni ed esperienze di umanesimo laico di consonanti valori, .
Sanità. Il bene primario della sanità dei cittadini non è considerato da DemocraziaComunitaria come appartenente al campo del libero mercato privato bensì a quello del diretto intervento dello Stato attraverso un sistema sanitario nazionale unitario, che pur decentrandosi a livello di regioni e comuni non vanifichi la effettiva uguaglianza fra tutti i cittadini di fronte ad esso. La struttura centrale si sostituirà tempestivamente alle strutture regionali inadempienti o inefficienti, fino a che non siano ripristinate le condizioni di piena adeguatezza di esse. Ugualmente lo Stato farà nei confronti delle eventuali strutture cittadine ove non intervenga tempestivamente la struttura regionale di competenza. L’iniziativa privata opera liberamente e competitivamente nel campo della sanità, nel rispetto delle normative pubbliche che garantiscono la tutela e la promozione della salute dei cittadini come prioritaria rispetto al profitto d’impresa.
Stato di diritto. Ogni legge e normativa pubblica deve prevedere e garantire reale pari dignità e tutela tra il soggetto pubblico e il cittadino o entità sociale intermedia, in sede di contenzioso privatistico. In tal senso devono, ad esempio, essere garantiti i tempi e la certezza di pagamento da parte dello Stato e degli Enti pubblici verso fornitori e prestatori d’opera.
Strumenti e qualità della formazione. Prezzi e contenuti dei libri scolastici e degli strumenti didattici collegati devono andare rispettivamente in direzione di una evidente socialità i primi e di una altrettanto evidente caratterizzazione unitaria e integrata della formazione, i secondi, contrastando le spinte a una separatezza specialistica che DemocraziaComunitaria vede opportuna soltanto al livello universitario. Altresì, DemocraziaComunitaria annette valore essenziale e imprescindibile alla formazione permanente dei docenti, come di tutti gli adulti. 
Tassazione. Il criterio costituzionale della progressività, che trova la sua ragion d’essere nel principio valoriale della equità, va sempre ed in concreto misurato su di essa: vanno pertanto superate le condizioni inique prodotte tecnicamente sia dalla frantumazione distorsiva e sperequatrice delle norme sia da passaggi di aliquota mal calibrati quanto a gradualità.
Titoli di studio. La missione di formare la personalità dei ragazzi lungo tutta la loro vita fino alla soglia dell’università, è prioritaria rispetto a quella del rilascio di titoli di studio formali destinati al mercato del lavoro, e rispetto allo stesso mercato del lavoro, cui invece può essere più direttamente attenta l’università. In tal senso DemocraziaComunitaria propone di approfondire la ipotesi di superamento del valore legale dei titoli di studio, perché l’attenzione della scuola possa più e meglio concentrarsi sull’effettivo impegno formativo nei confronti degli utenti.
Tolleranza e rispetto in campo religioso. La laicità dello Stato si accompagna a una considerazione attentissima dei valori collegati con il riconoscimento della dignità integrale della persona e della dimensione trascendente della vita. DemocraziaComunitaria ritiene che la scuola, in particolare, debba accentuare la educazione alla citata importanza del trascendente ed al rispetto delle diverse vie attraverso le quali la persona realizza la sua esigenza di religiosità.  
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Politica

REFERENDUM: CON SERENITA' E RISPETTO VOTEREMO SI'

Cari amici,

mancano ormai pochi giorni alla celebrazione del referendum sul taglio del numero dei componenti il parlamento italiano (oggi sono 945 più gli ex presidenti della repubblica).
Non ho fatto e non faccio alcuna “campagna di voto”, pur avendo da tantissimi anni una mia idea precisa sulla materia.  E volutamente ho atteso questi ultimi giorni prima del voto per sintetizzarvi la mia riflessione finale, con serenità e rispetto per quanti pensano diversamente da me.
Ho trattato spesso l’argomento della consistenza numerica del parlamento, l’ho trattato da tanti anni, e certo ben prima che si profilasse l’attuale referendum, e ben prima che si pensasse alla modifica del numero dei parlamentari da parte del governo in carica e di quello precedente e di quello precedente ancora. Anzi, ne ho trattato ben prima che esistessero tutti gli attuali partiti dello schieramento costituzionale.
Ne ho parlato e scritto fin da quando studiavo diritto costituzionale e comparato all’università, e poi via via che mi sono occupato di problemi istituzionali sia nell’apparato della direzione centrale della Dc storica sia in altri ambienti di studio e di lavoro. Ne ho parlato in modo particolare in un mio volume del 1982 dal titolo “La società istituzionale”. Sono tanti anni, dunque; veramente tanti. E, come deve fare ogni onesto studioso e ogni bravo cittadino, ho sempre cercato anche, appunto con onestà, motivi adeguati per cambiare idea. Ma non ne ho trovati.
Anche del problema più complessivo dell’ipertrofia dell’apparato istituzionale e pubblico più generale del nostro paese, del resto, ho parlato sostanzialmente da tanti anni, e l’ho fatto, come per il problema della efficienza della funzione parlamentare, in compagnia di studiosi e cittadini ben più autorevoli di me, non solo italiani: il problema di come possa funzionare al meglio un’assemblea rappresentativa democratica, e in generale uno Stato, è in realtà di tutti i paesi e di tutti i tempi, naturalmente, fin dall’antica Grecia e ancora prima; l’ho fatto a cominciare dai maestri sui cui libri e sul cui insegnamento si sono svolti i miei studi universitari, come accennato, da Mortati a Calamandrei a Crisafulli a Barile a Onida ai padri costituenti della nostra repubblica e via via fino a Moro e Fanfani.
Ne ho parlato ancora più intensamente a partire dal 2012, perché dal 2012 ad oggi si è intensificato il tentativo di ricostruire, in compagnie ben significative come quella di Gianni Fontana, un grande partito popolare di ispirazione cristiana per il ventunesimo secolo, che collegasse la forte tradizione del cattolicesimo democratico popolare sturziano con la migliore esperienza della Democrazia Cristiana storica a partire dal nucleo fondativo dei citati padri costituenti che diedero vita alla nostra repubblica, e fino agli altrettanto citati Moro e Fanfani; e facesse funzionare al meglio le rispettive istituzioni rappresentative.
Nei documenti elaborati per queste vicende e per questo impegno un capitolo particolare è stato sempre dedicato, particolarmente da Gianni Fontana e dal sottoscritto, al concetto di “Stato snello”, cioè di come appunto far funzionare le nostre istituzioni repubblicane (e l’apparato pubblico in genere) secondo lo spirito con il quale i padri costituenti le pensarono: effettivamente rappresentative ed effettivamente democratiche.  
Sono tanti, questi documenti, a partire dalla organica relazione che lo stesso Fontana presentò a novembre del 2012 per l’assemblea nazionale di rivitalizzazione del pensiero e dell’azione democratico-cristiani, e dagli altri successivi, che gran parte dei miei amici, e non solo loro, conoscono. A tali documenti rinvio per il ragionamento sviluppato a motivazione della mia opinione, parendomi eccessivo citarli nuovamente qui. Essi sono sempre a disposizione di tutti.
E spiegano in sintesi perché e come siano da considerare ormai maturate, e ancora di più lo siano a ventunesimo secolo inoltrato, le condizioni storiche per snellire ed efficientizzare, oltre agli apparati complessivi dello Stato (la baraonda  che comincia con il Cnel e prosegue con le miriadi di enti ormai  realmente inutili, nazionali e regionali, con la duplicazione relativa delle competenze scoordinate, e con l’elefantiasi delle normative che a tutti i livelli tormentano i cittadini) la composizione numerica del parlamento nazionale incamminandolo sia verso la unicameralità sia verso una ragionevole riduzione del numero dei suoi componenti. La proposta finale elaborata dal sottoscritto e da Gianni Fontana considerava e considera il numero di cinquecento parlamentari pienamente adeguato a un grande ed efficiente parlamento nazionale.
Lo snellimento numerico del parlamento una volta superata la fase di consolidamento della repubblica, è stato visto sia dai padri costituenti sia da studiosi di tutte le appartenenze politiche come semplice, naturale e necessario strumento tecnico di efficientizzazione e coerentizzazione del lavoro parlamentare e della sua rappresentatività. Con questa prospettiva di efficientizzazione non c’entrano i governi di destra o di sinistra o di centro e non c’entrano i partiti politici. C’entra trasversalmente l’amore e la preoccupazione per la veridicità e credibilità della nostra democrazia e del funzionamento delle sue istituzioni. Lo snellimento è, e deve essere,  una misura tecnica, non una misura politica.
Né si può ironizzare miserevolmente sulla storia del risparmio rispetto ai costi abnormi dell’attuale parlamento, risparmio che equivarrebbe semplicemente a “un caffè all’anno per ogni italiano”. Nessun padre di famiglia ragionerebbe in questi termini quando fra i suoi figli ci sono ancora tanti problemi seri da risolvere: è immorale ragionare così,  e infatti tendono a ragionare così soltanto i lorsignori ben pagati per i quali un caffè è effettivamente  quasi nulla. Per i poveri e i disoccupati non è affatto così. La triste ironia sul caffè mi ricorda i casi nei quali qualche dirigenza aziendale di mia conoscenza pretendeva di attribuirsi un aumento di stipendio di “soltanto” mille euro mensili ma contemporaneamente per i dipendenti non ne ravvisava disponibili nemmeno dieci.
Mi sembra scorretto anche richiamare enfaticamente la difesa della “Costituzione più bella del mondo” e dello “spirito dei padri costituenti” senza effettivamente conoscere cosa ciò significa, e cioè conoscere a fondo la storia di quel testo e di quei padri. Quando ci si riferisce alla costituzione più bella del mondo ed allo spirito grande dei padri costituenti ci si riferisce esattamente alla prima parte della costituzione, quella dei valori, principi, diritti e doveri. L’altra, quella delle tecnicalità, gli stessi padri costituenti la consideravano evolutiva a mano a mano che la società italiana avrebbe consolidato il suo sviluppo economico, sociale e culturale. E’ in questo senso che dobbiamo essere strenui difensori del testo della nostra costituzione. Non con la fessaggine della fissaggine.
Di fronte all’attuale referendum sulla proposta di portare il parlamento italiano da novecentocinquanta componenti a seicento, dunque, la mia serena valutazione è che sia del tutto opportuno votare sì sulla scorta di tutto ciò che insegnano la storia e la scienza dell’organizzazione in materia di funzionamento di tali organizzazioni.
Con me voteranno sì tantissimi amici di diversi orientamenti politici e di diverse esperienze professionali e civili, mentre altri amici voteranno no per ragioni diverse, collegate soprattutto all’attuale quadro politico e partitico del paese , dal quale a me sembra invece doveroso prescindere perché il funzionamento strutturale delle nostre istituzioni va molto al di là e molto al di sopra, ed è molto più importante, di tale quadro. Ci rispettiamo reciprocamente, comunque, e sinceramente, al di là del nostro voto, come è normale e giusto tra amici e cittadini democratici.
Mi ha molto colpito ed amareggiato, invece, l’atteggiamento di chi, tanto sul fronte del sì quanto su quello del no, ha fatto del referendum un astioso tema di polemica partitica pro o contro questo o quel partito attuale, caricando la polemica con una virulenza e offensività di toni e motivazioni che francamente mi sembra nulla abbiano da vedere con la dinamica democratica e con la civiltà del nostro paese. E che il più delle volte manca anche di fondamento storico e persino giuridico.
Non faccio nessun conto della superficialità dei Di Maio e degli altri che con lui riducono a slogans palingenetici il loro schieramento per il sì, né della irresponsabilità dei Zingaretti che, incivilmente e diseducativamente, hanno definito “quattro buffonate di quattro buffoni” le posizioni del governo avversario salvo cambiare opinione e linguaggio quando al governo ci sono andati loro… con il partito già da loro dichiarato buffone. Un autentico squallore che non merita neppure commenti ma solo evidenziazione, come è anche per quelli del fronte opposto il cui misero mestiere quasi esclusivo è quello di apparire in tv a sputare sugli avversari con i quali, proprio in parlamento, rappresentano il popolo italiano.
 
Provo ammarezza, piuttosto, per quei tanti sostenitori del no che tacciano quanti come me hanno deciso di votare sì, definendoli (e cito alla lettera) “seminatori di odio e di antipolitica”, “allocchi”, “populisti”, “qualunquisti”, colpiti da “aurea imbecillitas”e altri epiteti non meno offensivi e privi di rispetto e di senso di responsabilità. Non mi ci vedo davvero come seminatore di odio, cari amici, né come allocco, né come populista, né come “servo della incipiente dittatura di sinistra” (hanno scritto anche questo), né altro di simile, per il semplice fatto che ho deciso di votare sì al referendum. Questo lo dico sul piano morale.
Sul piano culturale, poi, non mi fa una impressione meno penosa il vedere un tema così delicato come quello del referendum sul funzionamento tecnico del nostro parlamento nazionale venir ridotto, come ho accennato, a una miserevole polemica pro o contro gli attuali partiti, siano essi al governo o all’opposizione. Mi sembra davvero che si tratti di immaturità civile e politica e di veduta culturale dannosamente corta.
Detto questo per onestà verso chiunque mi conosce ma anche verso chi in passato mi ha letto senza conoscermi personalmente, confermo con serenità che voterò decisamente sì al referendum, e che invito gli amici di consonanti ideali e amore per il paese a votare sì.
Confermo non meno il mio onesto rispetto per quanti voteranno no, e mi auguro comunque che insieme si possa, dopo questo referendum, affrontare l’ancora più importante, anzi centralissimo, tema della legge elettorale, quella legge elettorale che da molti anni ha tolto ai cittadini il diritto di scegliere direttamente i nomi dei loro parlamentari lasciando loro, soltanto, il diritto di votare liste di cooptati dai partiti stessi: e impedendo qualsiasi alternativa con gli strumenti  più subdoli e disonesti, a cominciare dall’abnorme e impediente numero di firme occorrenti per presentare le candidature. Democrazia trasformata in oligarchia, con la connivenza attiva, da molti anni a questa parte, di tutti i partiti di destra, di sinistra e di centro. Sarò con non minore impegno su quest’altra battaglia. E considero intanto il mio voto per il sì al referendum sul taglio del numero dei parlamentari una tappa significativa di tale più complessivo impegno.
                                                                                                         
                                                                                                                                                  (Giuseppe Ecca)

Roma, 15 settembre 2020.
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Politica

NUOVO SOGGETTO POLITICO DI ISPIRAZIONE CRISTIANA: O NASCE VERGINE O NON VALE LA PENA CHE NASCA

Il punto della situazione, secondo noi, mentre ininterrottamente fervono i tentativi di raggiungere finalmente la meta: cosa, oltre che pienamente legittima, del tutto auspicabile per l'Italia, politicamente povera di cultura politica e partitica allo stato attuale delle cose.

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Venticinque anni di diaspora del movimento di ispirazione cristiana nella politica italiana, seguita alla scomparsa per autoscioglimento della storica Democrazia Cristiana, costituiscono un lasso di tempo sufficiente per una visione compiuta e limpida di quanto accaduto nel nostro paese, e rendono ormai necessario che tale visione si traduca in una nuova assunzione di responsabilità attiva e preclara nei confronti del paese stesso, ponendo fine alla sterile profluvie retorica, documentale e a prevalenza recriminosa.

Due elementi risaltano incontrovertibili dall’analisi di tali venticinque anni:
  1. il primo è che la Democrazia Cristiana storica si dissolse essenzialmente per le proprie debolezze morali e culturali interne, nel quadro di un dissolvimento più complessivo che colpiva contemporaneamente tutto il quadro politico e socio-culturale del paese: non si dissolse per oscure congiure di nemici esterni, come troppe volte viene ripetuto a modo di autoscusante; ed è onesto e soprattutto utile riconoscerlo;
  2. il secondo è  che i venticinque anni di diaspora sono venuti evidenziando una strutturale frantumazione del movimento volto a ricomporre in unità coerente, credibile e operativa quella esperienza storica e quella cultura politica, aggiornandole alle esigenze del ventunesimo secolo: frantumazione nella prevalenza dei casi non assimilabile a un sano e fertile pluralismo dialettico di idee e proposte ma piuttosto riconducibile a quelle medesime patologiche debolezze morali e culturali interne sopra accennate, che hanno reso sterile fino a oggi il pur copioso proliferare di proposte, ipotesi, auspici e tentativi di dar vita alla citata ricomposizione.
Proliferare dovuto, a sua volta, alla permanente ricchezza di stimoli e individualità positivamente testimonianti in tutto il nostro paese; ricomposizione drammaticamente esigita, dal canto suo, dalle condizioni impoverite del Paese stesso sotto il profilo di una legislazione sempre più caotica e meno trasparente, di un sistema di istituti educativo-formativi sempre più smarriti pedagogicamente e valorialmente, di una economia priva di timone e di bussola orientati al bene comune.

Orbene, nel quadro complesso, ma a volte più complicato che complesso, di tale frantumazione, le iniziative che continuano a proliferare per la ripresa di un ruolo politico di ispirazione cristiana di alto e universale respiro si rivelano assunte in grande prevalenza da personalità variamente ricche di esperienza ai diversi livelli della vita del paese, amministratori locali, parlamentari, docenti universitari, animatori sociali, tecnici delle istituzioni, sindacalisti, professionisti, e così via, alla guida di gruppi di cittadini di diversificata consistenza.   

E’ una situazione che richiama la doverosità, quanto meno, di un valore di principio e di due conseguenze operative. Il valore di principio è che l’auspicato nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana non può che avere il carattere di una associazione di persone, mai di organizzazioni o espressioni organizzate di interessi. Perché è solo la persona a essere portatrice iniziale e finale di diritti, doveri e responsabilità (anche questo è personalismo).

La prima conseguenza è che principio inderogabile di successo dell’impresa comune resta quello secondo cui ciascuna singola persona, qualunque siano il suo pregresso e attuale ruolo presso la opinione pubblica interessata, non può che aderire al nuovo soggetto politico in assoluta pari dignità rispetto a tutte le altre persone. Lo diciamo con accorato convincimento davanti alla constatazione negativamente sintomatica di persone che prospettano per sé l’aspettativa aprioristica di vedersi riconoscere nel nuovo soggetto politico ruoli garantiti o comunque di maggior riguardo, siano esse parlamentari che vantano il peso di una già operativa spendibilità istituzionale ed elettorale, sindacalisti che vantano una pregressa copertura di ruoli nazionali, cattedratici che vantano una già riconosciuta notorietà nei mondi accademici, rappresentanti di organismi portatori di potenziali consensi collettivi, e così via.

Una simile pretesa di ruoli pregiudizialmente riconosciuti è incompatibile con il necessario carattere di assoluta e trasparente connotazione democratico-associativa incarnata nei valori del personalismo e popolarismo politico di matrice cristiana che si vogliono riproporre, conosciuti dalla tradizione valoriale sturziana come da quelle degasperiana e dossettiana e lapiriana e morotea e così via.

La seconda e correlativa conseguenza è che, posta l’accettazione piena dello statuto del nuovo soggetto politico e le sue prescrizioni valoriali e comportamentali, a nessuna persona che lo desideri può essere preclusa a priori la partecipazione al nuovo partito. Come a nessun gruppo di persone può essere precluso di concorrere alla sua costituzione.

Ove così non fosse, la nuova realtà organizzata, piuttosto che rappresentare per l’Italia e  per il mondo una grande speranza, rappresenterebbe la sterile reiterazione di modelli di oligarchia negatori in radice dei valori richiamati. Quando occorre invece un rinnovato potente modello di umanesimo ad alta caratura di cultura delle regole e di visione comunitaria, che in altre occasioni abbiamo già avuto modo di definire “di rigorosità e luminosità monastiche”.

Mi permetto infine di richiamare per sintetiche espressioni alcuni altri concetti già in passato illustrati, e cioé:
  1. più elevata è la cultura del nuovo soggetto politico, meno senso ha porsi un problema di schieramento al centro piuttosto  che al centrosinistro o al centrodestro della politica italiana: Il popolarismo è altro;
  2. il nuovo soggetto politico non è in funzione centrale del momento elettorale, bensì quest’ultimo è conseguenza diretta e forte del partito immerso socialmente ed operativamente fra la gente;
  3. la sovraproduzione particolaristica di proposte programmatiche per l’Italia costituisce un gigantismo verboso che nuoce alla chiarezza e identità forte del programma: la nostra storia e la nostra identità valoriale sono bastantemente espresse da pochi e chiari caposaldi, fra i quali il diritto al lavoro, l’impresa partecipativa, lo Stato snello, la formazione di base umanistica, e pochi altri.  Il restante è corretto e sacrosanto e rispettoso che venga riservato alla futura elaborazione democratica degli organi democratici del nuovo partito.
 
                                                                                                                            (Giuseppe Ecca)
 
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Politica

I PARTITI SONO STRUMENTI DELLA DEMOCRAZIA E DELLA SOCIETA' NON PROPRIETARI DELLE ISTITUZIONI NE' DELLA POLITICA


 
 Recita come segue, il nuovo comunicato di DemocraziaComunitaria:
 
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Viene mossa in questi giorni a DemocraziaComunitaria, da alcuni gruppi, anche amici,  la critica di aver annunciato che sosterrà il “sì” alla riduzione del numero dei parlamentari, su cui gli italiani sono chiamati a decidere attraverso referendum il prossimo 29 marzo. Anche nel mondo organizzato di ispirazione cristiana, dunque, a quanto pare, DemocraziaComunitaria… è quasi sola a sostenere il “sì”, contro una prevalenza di opinioni (a quanto pare) favorevoli al “no”.
 
Non solo questa relativa solitudine non ci scoraggia, ma ci invita a tornare ancora una volta a rimeditare e riapprofondire (va fatto sempre e per tutti i problemi e da parte di tutti) il perché della nostra scelta. In questa sede peraltro non replicheremo alle ragioni di nessuno dei gruppi citati, in quanto la nostra posizione, attenta alla costruzione di quello che da anni chiamiamo “Stato snello” per realizzare con coerenza ed efficienza il dettato della carta costituzionale italiana nel ventunesimo secolo e lo spirito dei suoi padri costituenti, è espressa da anni nei nostri documenti, che ne esplicitano continuativamente tutte le ragioni di lunga gittata, giuridiche, politiche, culturali e morali, al di là delle contingenti maggioranze di governo. Confermiamo dunque con semplicità e convinzione, semplicemente, il nostro “sì” alla riduzione del numero dei parlamentari.
 
Nello stesso tempo, confermiamo anche la necessità di una riforma elettorale che restituisca ai cittadini italiani il diritto di scegliere effettivamente e direttamente tutti i loro parlamentari, deputati e senatori, attraverso il criterio democratico del “collegio uninominale secco”. Ribadendo ancora una volta che i partiti politici, secondo la costituzione italiana e lo spirito dei padri costituenti, e secondo la nostra tradizione valoriale personalista di ispirazione cristiana, non sono affatto gli affidatari della politica italiana, e men che meno ne sono i proprietari, ma sono semplicemente, e devono essere fortemente, degli strumenti attraverso i quali la democrazia viene aiutata a realizzare due fondamentali suoi obiettivi:
 
a. aiutare i cittadini medesimi a identificare  e impegnare meglio personalità, orientamento, programma, rifermenti valoriali e culturali, dei singoli candidati;
 
b. costituire per il paese, in vista dei momenti elettorali ma, non meno, nel quotidiano svolgersi della vita istituzionale, sociale, civile, economica, culturale, soggetti attivi e permanenti di formazione della coscienza dei cittadini e di servizio alle loro istanze, di rappresentanza delle loro posizioni, di vigilanza su tutti i comportamenti istituzionali, e ben radicati nel territorio: insomma, appunto, strumenti vivi della società democratica e pluralista, vere comunità di elaborazione politica, mai proprietari e gestori oligarchici della democrazia. Riassumiano, dunque: democrazia è scegliere persone, non scegliere partiti. Che queste persone facciano riferimento a partiti o siano candidate da partiti è qualificante ma non essenziale.
 
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Politica

DEMOCRAZIACOMUNITARIA: IL NUMERO DEI PARLAMENTARI VA RIDOTTO


DemocraziaComunitaria non intende prendere posizione se non su problemi, piccoli o grandi che siano,  il cui significato sia effettivamente e sostanzialmente collegato  con il bene comune e con la centralità valoriale della persona umana. Coerente a tale spirito ci è sembrato il comunicato da essa emesso oggi.

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La maggioranza di governo ha proposto e fatto approvare dal parlamento la riforma che riduce la consistenza numerica del parlamento nazionale, composto oggi, come è noto, da 630 deputati e 315 senatori, oltre i senatori a vita.
 
Lo ha fatto con una metodologia infantilmente irresponsabile, come se si trattasse di una leggina su problema secondario o provvisorio del paese, e non di un aspetto sostanziale del nostro assetto istituzionale e democratico. Lo ha fatto anche elitariamente e senza alcun sostanziale dibattito della opinione pubblica nazionale.
 
Per reagire a tale immaturità e scorrettezza di metodo è stata assunta da un gruppo di cittadini autorevoli, facenti parte anche di realtà di ispirazione cristiana, la iniziativa di un referendum che annulli tale riforma.
 
DemocraziaComunitaria ribadisce peraltro quanto sempre sostenuto, e cioè che va nettamente distinto il metodo scorretto ed irresponsabile utilizzato dal governo per proporre questa riforma, dal merito della riforma stessa: la riduzione del numero abnorme dei componenti il parlamento nazionale resta necessaria e del resto viene proposta da moltissimi anni da studiosi e cittadini di ogni condizione e grado culturale e responsabilità sociale, oltre che da noi.
 
DemocraziaComunitaria ha fra l’altro sempre ampiamente spiegato le ragioni storiche, culturali, politologiche, e anche di semplice efficacia ed efficienza della funzione legislativa e dei concetti di rappresentanza e rappresentatività, per le quali il numero dei parlamentari va ridotto.
 
Inoltre, poiché si sente a volte fare richiamo, da parte di chi è contrario alla riduzione del numero dei parlamentari, alle decisioni assunte a suo tempo dai padri costituenti, DemocraziaComunitaria ribadisce che il pensiero dei padri costituenti, per chi conosca bene i lavori ed il dibattito dell’Assemblea costituente, era lontanissimo dal considerare la tecnicalità del numero dei parlamentari come facente parte dei principi e valori costituzionali.
 
Infine, DemocraziaComunitaria ricorda il dovere di tutti gli italiani democratici, a qualunque orientamento partitico appartengano, di agire non pro o contro uno o altro governo o maggioranza parlamentare, ma per la lunga prospettiva del bene comune. Per il quale, a settant’anni dalla nascita della Costituzione, la riduzione dell’abnorme e costosissimo numero dei parlamentari è dovere di limpida salubrità istituzionale.
 
Resterà ulteriormente da affrontare, su questa delicatissima tematica, l’ancor più cruciale questione del sistema elettorale. E lo faremo.
 
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Politica

STUDIARE I PROBLEMI E' UN PRECISO DOVERE

Interessante, questa lettera aperta del professor Carlo Maria Bellei, dell'Università di Urbino, al vice  premier Di Maio, durante lo scorso mandato governativo. “Roba del passato”, direte voi. Noi pensiamo che le “robe del passato” vadano spesso rivisitate: per capire meglio le persone, per capire meglio il loro e il nostro oggi. La lettera ci viene riproposta da Danilo Bertoli.
 
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"Caro Di Maio,

leggo che lei ed il suo Ministro Toninelli siete rimasti perplessi dalle aperture della Lega a Società Autostrade.
Se ha un minuto provo a spiegarle come stanno le cose.

Se, invece di continuare a gridare proclami, vi foste presi la briga di approfondire la materia riguardante le concessioni autostradali, vi sareste accorti di una serie di cose interessanti. Prima di tutto, il contratto capestro. Non le pare che invece di lanciare le solite accuse a destra e a manca vi sareste dovuti chiedere chi c’era dietro la stipula di condizioni così svantaggiose per lo Stato? È evidente che sia lei che Toninelli non ne sapete nulla.

Partiamo dal principio: nella sua breve vita il tanto bistrattato secondo governo Prodi si accorge di alcune anomalie e decide di intervenire per sanarle. L’intervento più importante che viene fatto è del 2006, con esso praticamente si obbligano i gestori privati a legare gli aumenti dei pedaggi a sostanziosi interventi di ammodernamento e manutenzione. Detta in parole povere, se vuoi soldi devi prima metterci soldi.

Solo che il governo Prodi cade e, mi ascolti bene caro Di Maio, nel 2008 arrivano Berlusconi e la Lega, già proprio quella Lega con cui oggi lei governa e nella quale Salvini era già uno degli elementi di spicco. Nel giugno dello stesso anno il centrodestra elimina tutti i vincoli, cambia le condizioni della concessione dando vita all’attuale contratto-capestro con il quale si affidano le autostrade ai privati.

Vuole sapere il perché, caro Di Maio? Perché alcuni imprenditori veneti, interessati al business della viabilità, fecero molte “pressioni” proprio sulla Lega. Comincia a capire, ministro Di Maio? Vede, alla lunga è difficile occupare un dicastero importante come il Suo raccontando tutto ed il contrario di tutto. Capisco che in questi anni giornalisti ed elettori le abbiano fatto credere che nessuno l’avrebbe mai contraddetta, ma questo non è più il tempo in cui inventarsi balle per giustificare ai genitori il fatto di non riuscire a passare gli esami all’Università: questo è il tempo in cui lei ha in mano il futuro di milioni di persone.
Spero  di  esserle  stato  utile.”
                                                                                                                                             
                                                                                                                                                 Carlo Maria Bellei
                                                                                                                                                (Università di Urbino)
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Politica

DEMOCRAZIA COMUNITARIA: UNA VIA NUOVA PER UNA META ANTICA

Centosette: li ho contati con puntiglio, per curiosità, e tanti sono stati, fino a questa mattina, gli amici che, incontrandomi  o scrivendomi, in queste ultime settimane, mi hanno chiesto: Ma chi è in realtà Democrazia Comunitaria, che sentiamo citare o vediamo prendere posizione su questo o quel problema della società, della politica, dell’umanità?
 
Rispondo una volta per tutte e in modo scritto e formale, dopo averlo spiegato tante volte in modo verbale e informale a molti fra gli amici citati. Democrazia Comunitaria è Una nuova via per una meta antica”.
 
Si occupa di politica, Democrazia Comunitaria? Sì, ma anche semplicemente di società, di  umanità, di cultura, di valori condivisi e di solidarietà.
 
La sintesi ideale che Democrazia Comunitaria considera come suo riferimento di visione e missione è quella espressa nella frase che mi avete sentito ripetere, o mi avete visto riscrivere, più volte, in più di un documento: si chiama Umanesimo plenario. E, come sottotitolo interpretativo, Per tutto l’uomo e per tutti gli uomini”. Le espressioni furono coniate da Paolo VI, un grandissimo uomo e un grandissimo papa. Le trovate anche come sottotitolo di studisociali.org. E, se ci pensate, sono pregnantissime.
 
“Allora siete cattolici, tutti voi di Democrazia Comunitaria”, mi direte. Molti di noi sì, lo sono; altri no: personalmente sono credente e cattolico, e praticante, come la maggior parte di noi, ma fra i nostri e miei amici di ideali annoveriamo anche persone di sensibilità culturale laico-repubblicana (in particolare della tradizione mazziniana), o laico-liberale (in particolare della tradizione einaudiana) o laico-socialista (in particolare della tradizione pertiniana) e altri ancora. Uniti però tutti da alcuni connotati specifici di opzione morale e politica nella concezione dell’umanità, della società e della politica.
 
Il fatto centrale, in fondo, non è la novità delle cose che diciamo, le quali sono in verità antichissime. E’ invece il fatto che siamo decisamente “quelli dei puntini sulle i, come modo di concepire sia la Democrazia sia la Comunità, cioè le parole presenti nel nostro nome, e tutto il programma che ci sta dentro, e soprattutto i comportamenti conseguenti. E più precisamente, per citare alcuni di tali “puntini sulle i”:
 
Primo puntino sulle i: la democrazia è un valore essenziale ma a condizione che anche le minoranze e le singole persone vengano sempre rispettate, ascoltate e valorizzate; la democrazia che si limiti a ritenere che la maggioranza può decidere e basta, è un tradimento del valore di democrazia: questa è tale se, pur consentendo alla maggioranza di decidere, come è necessario e alla fine giusto, attribuisce valore centrale alla persona e riconosce a proprio fondamento valori che neppure la maggioranza può violare: come la libertà di pensiero e di religione, la libertà di voto, la libertà di candidarsi alle elezioni, il valore integrale di ogni vita umana, e così via; insomma, ad esempio, la democrazia che, fosse pure con ineccepibile scelta di solida maggioranza, decidesse che è vietato criticare un governo in carica, non sarebbe affatto democrazia e non sarebbe affatto legittima.
 
Secondo puntino sulle i: l’aggettivo Comunitaria significa che la persona, centro di imputazione di tutti i diritti e di tutti i doveri, non nasce, non si sviluppa, non si realizza, se non nel contesto naturale e armonico e solidale di una comunità, cioè insieme con gli altri: e gli altri sono innanzitutto la famiglia naturale, e dopo di essa via via la comunità locale in cui si vive,  la comunità statale di cui si è cittadini, l’umanità intera, la propria comunità religiosa di appartenenza, la comunità della impresa nella quale si lavora, il proprio eventuale sindacato, e insomma tutti i luoghi nei quali la persona realizza e sviluppa appunto pienamente sestessa insieme con altre persone. La persona, in questo quadro, è il centro di tutto ed ha diritti inderogabili ma ha parimenti doveri assolutamente inderogabili, quali il rispetto del bene comune, il rispetto degli ambienti pubblici, il pagamento delle tasse in misura equa, la solidarietà sociale, e così via.
 
Terzo puntino sulle i: l’economia e il lavoro sono binomio inscindibile di efficienza e dignità di una società. Inscindibili, avete capito? Non c’è una economia che non produca lavoro, e non c’è un lavoro che non generi una economia. Cioè, non c’è una economia legittima se è economia di finanza speculativa,  non c’è un lavoro legittimo se è lavoro puramente nominale, cui corrisponde una mera rendita o un ruolo parassitario. Il diritto al lavoro è assoluto, ma anche il dovere al lavoro lo è. Il lavoro è dunque per definizione produttivo, cioè utile, mai parassitario. L’impresa deriva dal lavoro e non viceversa. L’impresa a sua volta ha diritto a nascere e svilupparsi avendo a riferimento una burocrazia autorizzativa, fiscale, di controlli, etc., semplici, snelle, trasparenti. Il diritto di fare impresa non è soggetto a capricci autorizzativi o di veto di alcuna burocrazia nè statale né locale: ha solo l’obbligo di rispettare i suoi doveri fiscali, ambientali, sociali. E di essere partecipativa, cioè connotata da cointeressenza, anche economica, fra tutti quelli che vi operano; cioè olivettiana, se così volete chiamarla.
 
Quarto puntino sulle i: la scuola e la formazione sono diritto e dovere di tutti, anch’esse, ed hanno impronta umanistica per tutti. Le tecniche sono indispensabili, con le conseguenti competenze, ma seguono l’umanità, e mai viceversa. Ci interessano le persone, non i robot. Questi li inventiamo e li usiamo ma semplicemente come macchine che ci aiutano, alla stregua della lavatrice o del sistema di allarme in casa. E inoltre la scuola e la formazione sono per tutte le età, non soltanto per quella giovanile.
 
Quinto puntino sulle i: la famiglia e la solidarietà sono centro fondativo della società. La famiglia è quella naturale prevista dalla costituzione italiana, dal diritto naturale e dalla dottrina sociale della Chiesa. La famiglia naturale va protetta, favorita, sostenuta e, ove occorra, vigilata, non sostituita né abolita.
 
Sesto puntino sulle i: la dimensione internazionale. Basta con la vuota retorica europeista e internazionalista. L’Europa non è un bene in sé: l’Europa è un bene in quanto si comporti da paradigma del processo verso il mondo unito, che è il nostro ideale. Come era per i padri fondatori. Sono europeista da sempre. Eravamo bambini, quando ci insegnarono a essere europeisti. Ma ci insegnarono ideali di condivisione, non affari in comune. Sì, di condivisione, proprio come dice il mio amico di studi salesiani Nunzio Saviana. E l’Italia si chiamava Italia, non Italy. E si imparavano le lingue reciproche, non una lingua unica (per giunta brutta) con la quale vedo che anche voi spesso volete continuare a ingurgitare modelli mentali e culturali spesso obbrobriosi e monodimensionali. Fatela finita.
 
Settimo puntino sulle i: la natura casa comune. Il vincolo del rispetto ambientale non conosce né privilegi né eccezioni. Non è concepibile alcun diritto di costruzione, di qualsiasi tipo, se non corredata da proporzionale superficie a verde. E il rispetto della natura comprende il rispetto della vita animale come di tutta la vita e di ogni singola vita. Gli animali vanno protetti come bene comune: protetti dalla immaturità, dalla crudeltà e dalla imbecillità criminale di troppi cittadini.
 
Ottavo puntino sulle i: il diritto, la giustizia, l’efficienza amministrativa. Alla base hanno una legislazione semplice. Il tradimento attuale del sistema legislativo e normativo italiano nei confronti dei cittadini italiani è colpevole e dovuto alla irresponsabilità e inadeguatezza grave della classe politica. La legislazione, in particolare, va assolutamente semplificata. Assolutamente. Come pure l’amministrazione della giustizia e le sue procedure. Come pure il fisco e i suoi adempimenti. Come pure la normativa elettorale, che deve restituire ai cittadini il potere di scegliere persone, non simboli  o liste.
 
Nono puntino sulle i: i melensi luoghi comuni categorizzanti. Non ci sono uomini e donne, ma persone. Non ci sono ceti medi e ceti alti o bassi, ma persone. Non ci sono “nordici” e “sudici”, ma persone. Non ci sono autonomie differenziate, ma l’autonomia di ogni persona e di ogni comunità, uguale in un paese di cittadini e di comunità uguali. Non ci sono imprenditori e lavoratori, ma persone che lavorano. E così via.
 
Ma il nono puntino sulle i è il più importante di tutti. Infatti molti di voi mi diranno (e mi hanno già detto): Se Democrazia Comunitaria è come tu dici, allora ci piace, e vogliamo farne parte. Ebbene, non vi voglio. Non vi voglio se appartenete alle aberranti categorie oggi zavorranti intorno a noi, che formano le schiere cialtronesche di quanti, sedicenti di ispirazione cattolica o laica che siano, tronfi di una lingua lunghissima quanto mal governata, sono bravissimi nel ripetere forbite prediche pseudo-politiche o pseudo-religiose agli altri, razzolando poi malissimo nei comportamenti personali. Il nono puntino sulle i è proprio questo: Democrazia Comunitaria è un raggruppamento, od organizzazione, od ordine, o partito, o gruppo, o come decideremo alla fine di chiamarla, caratterizzato dalla necessità assoluta, in chi vi aderisce, di comportamenti personali ineccepibili, e di ineccepibile cultura delle regole. Ho definito monastico e militare, nel senso più bello e più alto, il modello organizzativo e politico di Democrazia Comunitaria: monastico quanto a elevatezza etica dei comportamenti, militare quanto a spirito di comunità, ad attenzione al bene comune, e anche, perché no, a spirito di corpo nel senso, anche qui, di cultura ineccepibile delle regole e della solidarietà (solidarietà che non è mai connivenza, come devo precisare per i troppi analfabeti che, drogati dall’anglofonia, hanno dimenticato il senso corretto delle parole in lingua italiana). Se tu che leggi sei di quelli che predicano la elezione interna dei capi con voto segreto salvo riservarti di essere personalmente eletto per acclamazione, non fai per noi. Non venire in Democrazia Comunitaria. Non ti vogliamo. Se predichi la meritocrazia nella gestione dei concorsi pubblici e poi operi per corrompere la graduatoria del concorso e far entrare tua nuora a spese di un concorrente migliore che non ha santi in paradiso, non fai per noi. Non ti vogliamo. Te lo ripeto con chiarezza, non ti vogliamo. Vai a cercare dimora politica e morale altrove. Ti offriremo il caffè senza inimicizia personale, ma non sei ammesso in Democrazia Comunitaria.
 
Adesso, però, amici che leggete, fatela finita. Fatela finita con il tornare a chiedermi cosa è Democrazia Comunitaria. Perché non vi risponderò più. Democrazia Comunitaria è quello che vi ho appena sintetizzato, e tutto ciò che di ulteriore vi ho spiegato anche per scritto tante altre volte, in documenti che molti di voi hanno certamente letto e che risalgono anche a qualche anno fa, e anche più indietro. Democrazia Comunitaria non vuole morire di chiacchiere retoriche, ma vuole vivere di comportamenti civici, politici e umani, elevati; anzi, pienamente umanistici nel senso già detto: “per tutto l’uomo e per tutti gli uomini”.
 
                                                                                                                             Giuseppe Ecca
 
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Politica

DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA E DEMOCRAZIA DIRETTA SONO ALTERNATIVE?

Da un lato la necessità di rinnovamento dei partiti politici affinchè tornino a saper essere luoghi di interpretazione, partecipazione e mediazione degli interessi in una visione di bene comune costantemente discussa fra i cittadini e con i cittadini, dall’altro l’arricchimento della macro-democrazia, che esprime le istituzioni di rappresentanza e governo generale (parlamento, sindaci, etc.) con elementi diffusi di micro democrazia che offra al cittadino la possibilità di forme partecipative sostanziali anche a livello di scuola, sindacato, economia, servizi pubblici, etc. E’ su questo duplice e contestuale piano di azione che si snoda in sostanza la proposta di Giuseppe Bianchi, riprendendo per aspetti importanti quella riflessione più generale di analisi che Giuseppe De Rita, per il Censis, ha definito più volte intorno al concetto di “crisi della intermediazione sociale e politica”.
 
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La crisi dei  sistemi democratici che tocca buona parte dei paesi occidentali è per lo più riportata nel dibattito pubblico alle crescenti diseguaglianze provocate da una globalizzazione priva di reti di protezione sociale. Un dato sicuramente influente, non esclusivo dell’attuale momento storico e non sufficiente a spiegare il crescente successo dei movimenti populisti la cui capacità di mobilitazione va ben oltre la rappresentanza dei cosiddetti svantaggiati.
 
Movimenti che si caratterizzano non tanto e non solo per le politiche sociali a riparazione dei torti subiti dalle fasce sociali più deboli quanto per l’attacco portato alle istituzioni della democrazia rappresentativa (partiti, sindacati...) in quanto parti di una “casta” privilegiata non più capace di interpretare la “voce del popolo”.
 
Un ribellismo, non di breve periodo come avvenuto altre volte nel passato, perché dietro questi movimenti ci sono trasformazioni strutturali che il sistema politico in atto ha saputo né cogliere né interpretare.
 
Un dato è costituito dalla disgregazione della società di massa, costola dell’industrializzazione di massa, che aveva creato le condizioni di crescita delle istituzioni rappresentative di massa (partiti, sindacati) la cui coesione sociale era sostenuta da fattori ideologici e da elitès intellettuali. Conseguenti, le spinte ad una maggiore individualizzazione dei bisogni e delle aspirazioni dei cittadini, peraltro coincidenti con la minor disponibilità di risorse pubbliche disponibili da parte degli Stati nazionali la cui sovranità è stata limitata da irreversibili processi di integrazione a livello sovranazionale.
 
Un ulteriore dato è di natura tecnologica. Lo sviluppo di internet e dei social ha dato vita a nuove reti di comunicazione tra i cittadini, non più intermediate da istituzioni rappresentative, all’interno delle quali aspirazioni incontrollate e pulsioni emotive alimentano, in via endogena, un nuovo populismo digitale. Un circuito di opinione pubblica che si forma nel recinto del web, indifferente alle tradizionali categorie politiche di destra e sinistra.
Un conflitto politico che si estende alle regole del gioco contrapponendo democrazia diretta a democrazia rappresentativa.
 

Questione antica che viene ora riproposta in termini di “democrazia elettronica” senza risolvere la contraddizione fra l’eguale diritto al voto dei cittadini e la disuguale capacità o volontà di partecipare alla vita politica (oggi più che mai complessa) aprendo la strada a manipolazioni da parte di minoranze attive.
 
D’altro canto va tenuto conto che è in particolar modo difficile oggi sollecitare una tale partecipazione responsabile dei cittadini in un contesto di democrazia rappresentativa debole nella capacità di governo, esposta ai condizionamenti delle burocrazie conservatrici, poco affidabile nelle sue promesse. Nello stesso tempo i cittadini sono frustrati da una offerta di servizi pubblici di prossimità (trasporti, cura del territorio) a volte indecenti in alcune grandi aree urbane, senza poteri di intervento per migliorare le loro condizioni di vita.
 
Le soluzioni sono implicite nella descrizione fatta: una democrazia rappresentativa “governante” e forme di controllo sociale dei cittadini sugli apparati burocratici che gestiscono, a livello locale, i servizi pubblici essenziali. Una forte democrazia rappresentativa è necessaria perché i cittadini non cadano sotto un potere autoritario ma non è sufficiente se non accompagnata da esperienze di micro-democrazie che diano voce e poteri agli stessi cittadini laddove sono in gioco interessi vitali.
 
Democrazia rappresentativa e forme di democrazia diretta vanno integrate in un progetto inclusivo di democrazia in grado di correggere la disgregazione sociale in atto e di valorizzare le potenzialità delle nuove tecnologie digitali per estendere il controllo sociale dei cittadini. La democrazia non è nel destino umano, come un codice genetico. E’ una costruzione politica che se non si rinnova rischia di autodistruggersi. Il popolo sovrano è una retorica politica in nome della quale si sono giustificati i peggiori autoritarismi. Ci sono i cittadini, nelle loro libere aggregazioni rappresentative, che devono divenire attori responsabili in una difficile transizione istituzionale in cui la macro-democrazia rappresentativa sia sostenuta e rinvigorita da esperienze di micro-democrazie a livello locale.
                                                                  
                                                                                                                                                      (Giuseppe Bianchi)
 
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Politica

SE NON SI RIGENERA E' DESTINATA A DEGENERARE

 
 
Ugo Righi non è un politico e non dedica la parte prevalente del suo tempo alla politica, che io sappia: l’ho conosciuto molti anni fa come esperto e  consulente attento di azienda, di processi manageriali, di organizzazione d’imprese. Ma è anche cittadino sensibile: e in questa chiave ci invita a saper considerare la relativa novita’ dell’attuale governo Cinquestelle-Lega con la calma e la lucidità mentale dell’osservatore che studia prima di giudicare e di assumere posizione.
 
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Lo scenario politico attuale è interessante anche per riflettere sul tema del cambiamento e dell’innovazione.
 
Qualsiasi fosse stata la scelta del gruppo oggi al potere in Italia, sarebbe stata criticata; io non sono in grado di valutare se quello che avviene oggi sia il meglio rispetto a ieri, ma è evidente che è diverso da quello che c’era. Questo francamente mi piace: poi saranno i fatti a fornire indicazioni che potranno confermare le percezioni o smentirle.
 
Com’è successo per la guida di Roma: aveva creato tante attese positive, diventate delusione e rabbia a fronte del disastro, e di fronte allo sforzo patetico di non riconoscerlo come tale.
 
Ma una cosa è certa: se si fa sempre la stessa strada, si arriverà sempre allo stesso posto, se abbiamo sempre il medesimo comportamento, al massimo otterremo lo stesso risultato, e se facciamo sempre la stessa cosa erronea otterremo sempre risultati sbagliati. Anche se non c’è determinismo positivo nel fare diversamente.
 
E questo è il punto: faccio uguale e non rischio, mantenendo lo status quo, oppure faccio diversamente e rischio?
 
Il nuovo premier, Giuseppe Conte, ha un “copione” e questa cosa è criticata da chi è contro di lui. Io credo che il copione possa essere considerato come un piano strategico e che quindi rappresenti il cosa si vuole ottenere, che potremmo chiamare con linguaggio manageriale “scopo e obiettivi”.
 
Ma la strategia rappresenta il come, e questo è quello che fanno i vertici delle imprese. Ora, il “come” è legato al fatto che la via si fa con l’andare e quindi la strategia si realizza strada facendo.
 
Il programma è il tragitto e non può considerare a priori le variazioni e le complessità emergenti; e quindi fare una cosa giusta oggi non vuol dire che la stessa cosa lo sia anche domani: il mondo cambia e la strategia deve cambiare pur avendo chiaro il punto di arrivo. In ciò consiste il valore del comportamento strategico, in una rigenerazione permanente che considera lo scopo.
 

Questo è un principio generale: per mantenere qualcosa che abbiamo conquistato (nel business, nell’amicizia, nell’amore, con i genitori, con i figli, ecc.) bisogna rigenerarla continuamente perché se qualcosa non si rigenera è destinato a degenerare, e la generazione di un percorso innovativo attinge il suo senso dalla devianza dalla norma, dalla “trasgressione”.
 
La devianza è qualcosa che interviene in un processo che ha paradigmi interpretativi e comportamenti considerati normali per governare il proprio ambiente. L’evoluzione è un processo che trasforma il sistema in cui è nata la devianza: lo disorganizza e organizza mentre lo trasforma.
 
Quello che serve davvero è essere una squadra sintonizzata che ha un pensiero comune su cosa ottenere e poi, ripeto, la strategia si realizza giorno per giorno variando coerentemente i propri comportamenti, gestendo in modo intelligente il pregiudizio di chi è contro, che certamente osserverà  i momenti del processo che disorganizza e non quelli che riorganizza.
 
Le devianze, nel momento in cui si esprimono per il semplice fatto di nascere, sono frenate dal sistema e la loro affermazione è una lotta contro i difensori dell’invarianza, che vedono minacciata la loro sicurezza dai portatori delle novità. La storia insegna: tutte le persone che hanno segnato il cammino di trasformazioni profonde sono state devianti, fuori dal sistema e, molto spesso, perseguitate o ostacolate.
 
Io francamente non so se quello che avviene oggi sia meglio, solo che ho visto il peggio e quindi la speranza, ancora una volta, può nascere. Hanno voluto la bicicletta:devono pedalare: noi vediamo, ma non come spettatori passivi o sabotatori attivi.

                                                                                                                                                       (Ugo Righi)
 
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Politica

I CATTOLICI E LA POLITICA: E' RICOMPONIBILE IL DIVORZIO?

I tentativi di costituire ex novo un partito di ispirazione cristiana come risposta all'attuale povertà qualitativa della politica italiana, ma anche alla ininfluenza dei cristiani nella politica italiana, si ripetono quasi con la insistenza con cui si ripetono i tentativi di rimettere in piedi, semplicemente, quello che fu il più grande partito storico dell'Italia repubblicana, cioè la Democrazia Cristiana.

Entrambi i tentativi condividono in realtà, insieme con la insistenza, un vistoso insuccesso che non accenna, per ora, a risolversi, nonostante gli inviti rivolti crescentemente dalla stessa Chiesa a serrare le fila e a voler assumere, da parte dei cattolici, più esplicite responsabilità nella "città dell'uomo".

Agli osservatori più attenti non sfuggono le due cause essenziali del duplice insuccesso registrato finora: nel caso del ritorno a operatività della Dc storica, è la caratura culturale e politica dei personaggi che guidano il tentativo a rivelarsi - non ce ne vogliano - del tutto inadeguata alle necessità comportate da impresa tanto grande che non si perita, con pose retoriche un poco esagerate, di richiamare a riferimento figure del calibro di De Gasperi, Dossetti, Moro, Fanfani, e simili; nel caso della ipotesi di una forza politica da creare ex novo, a colpire è soprattutto la frantumazioe spinta, e i diffusi egocentrismi, dei tanti soggettini che si affannano in una impresa la quale esigerebbe, ad affiancare un pensiero strategico certamente superiore rispetto a quello degli attuali partiti, una grande dote di autodisciplina organizzativa e di cultura interna delle regole, che pare ancora ampiamente mancare, ma che significativamente viene segnalata da un numero crescente di persone in questo variegato movimento, a cominciare dal piccolo gruppo di Democrazia Comunitaria, che ne fa uno dei suoi punti caratterizzanti. 

Tuttavia l'impegno viene confermato e non è detto che un più decente livello di consapevolezza delle citate esigenze di autodisciplina e di cultura delle regole non cominci, anche se lentamente, a fare capolino. L'importanza della posta in gioco è sottolineata, nello scritto che segue, da Giuseppe Bianchi, che dal suo osservatorio Isril, particolarmente attento al mondo del lavoro, non manca di proiettare considerazioni importanti anche sul più ampio scenario sociale e politico del Paese.

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L’occasione creata dal centenario della fondazione del Partito Popolare, ad opera di Don Sturzo, ha riproposto l’impegno dei cattolici in politica che, come è noto, è proseguito con la Democrazia Cristiana, asse centrale del Governo per oltre quarant’anni.

Una cultura ed una rappresentanza oggi dispersa sul piano politico con significative presenze rimaste nelle organizzazioni di volontariato. Analoga sorte è capitata ad altri movimenti politici laici portatori di culture altrettanto solide e consolidate sul piano della rappresentanza.

Fenomeno questo evocato come crisi delle ideologie del Novecento di cui i partiti erano espressione con le loro identità collettive in cui motivazione, ideali e azione politica si sostenevano tra loro, almeno nella rappresentazione offerta al comune cittadino. Sarebbe inutile ora parlare di questo passato se il presente non evidenziasse segni di regressione nella vita politica e civile del Paese.

Il dato emergente è che la politica post-ideologica, avviata da Berlusconi e proseguita dalle successive maggioranze per arrivare a quella attuale, ha assunto un connotato fortemente utilitaristico basato su uno scambio tra benefici economici e consenso politico. Nuove offerte politiche, in concorrenza tra di loro, che si fanno carico di offrire protezione al cittadino, disorientato di fronte alle nuove sfide della precarietà sia essa economica che valoriale.

Due sono gli effetti di accompagnamento di questa evoluzione politica: il cittadino non più partecipe della galassia dei corpi intermedi che, soprattutto a livello locale, lo legavano alla politica, cerca nuove identificazioni in qualcuno che lo rappresenti e lo rassicuri; la nuova concorrenza tra i partiti per acquisire consenso si realizza nella generosità delle promesse che avallano una concezione totalizzante della politica, destinataria esclusiva dei bisogni dei cittadini.

Questa riaccreditata concezione di Stato Provvidenza, alla prova dei fatti non ha prodotto i risultati attesi: sia in termini di soddisfazione dei bisogni economici ed occupazionali dei cittadini, sia in termini di risposta alle inquietudini derivanti dalla messa in discussione di consuetudini e di credenze sfidate dai nuovi sviluppi scientifici la cui irradiazione coinvolge l’insieme del loro vissuto.

A questo punto diventa legittima una domanda? Questa politica ha le energie morali per offrire un futuro al cittadino visto che non tutto è riconducibile a decisioni politiche ispirate dalla razionalità economica (reale o presunta) e/o dalla soddisfazione degli interessi individuali?  Conseguente l’ulteriore domanda che ci riporta al tema iniziale: la cultura cattolica può contribuire a rendere le nostre società più sicure e solidali? Dal punto di vista astratto la risposta non può che essere positiva: per la centralità che viene data alla persona ed ai gruppi in cui si riconosce che riposiziona la politica al servizio dei loro obiettivi; per il rilievo accordato ai valori del pluralismo sociale, della sussidiarietà con cui sconfiggere l’isolamento dei cittadini facendoli partecipi di una rete di aggregazioni comunitarie.

Sul piano pratico tale prospettiva si presenta più problematica. Improbabile un nuovo partito dei cattolici, oggi minoranza dispersa, improponibile un ritorno nostalgico alla Democrazia Cristiana esaurita dal troppo lungo governo, fragile l’ancoraggio alla dottrina sociale della Chiesa alla luce dei mutamenti strutturali intervenuti.

Una soluzione può essere offerta da un rinnovato appello, a cent’anni da quello Sturziano, agli uomini liberi e forti che condividono ideali di libertà e di giustizia e che si riconoscono nei fondamenti dei valori cristiani.

Un appello rivolto ai cattolici praticanti, ma anche ai cattolici insofferenti nei confronti delle prescrizioni ecclesiastiche troppo limitative delle loro condizioni di vita.

Un appello per un comune impegno culturale, prima che politico organizzativo, che accresca la consapevolezza pubblica della modernità e dei problemi inediti che essa produce sui diversi piani della vita in comune, grazie ad un supplemento di virtù che l’umanesimo cattolico può portare alla politica. I cittadini per partecipare alla politica chiedono che non solo i loro interessi ma anche che i loro valori, i loro progetti di vita trovino accoglienza nel dibattito pubblico nella condivisione delle procedure democratiche che ne determinano l’esito.

Questo circuito virtuoso di partecipazione presuppone cittadini informati e consapevoli che la pratica dei doveri è il presupposto per il godimento dei diritti.
                                                                                                                     
                                                                                                                                              (Giuseppe Bianchi)
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Politica

SE IL PROBLEMA E' LA CLASSE DIRIGENTE

Tempi di sintesi, sembra, per il venticinquennale processo di riflessione critica ed autocritica dei cattolici, e del mondo di ispirazione cristiana in genere, sugli effetti della “diaspora” che, dopo la fine della Democrazia Cristiana e degli altri partiti storici italiani, ha caratterizzato la loro presenza nella politica nazionale ed europea.

Non sappiamo come davvero i tormentati e tormentosi dibattiti in corso fra ex democristiani ad aspiranti nuovi democratico-cristiani termineranno, e con quali tempi reali: certo è però che in questi ultimi mesi si sono infittiti eventi e iniziative tese a trovare il modo di “passare alla fase organizzativa”. Non è affatto semplice, peraltro, questa impresa: fa ormai difetto da molto tempo l’abitudine alla grande disciplina organizzativa, e fa difetto anche l’abitudine alla formazione profonda ed organica delle coscienze che caratterizzava le leve storiche di questo e di altri partiti.

E proprio alla cruciale preoccupazione formativa fa riferimento il grande Giambattista Liazza, nella lettera inviatami fin dal luglio 2016 ( e in molte altre) che mi sembra interessante e utile ripubblicare qui di fronte al riaccelerarsi di dibattiti e speranze. Liazza fu  uno dei grandi protagonisti, forse il maggiore, proprio dell’ultima stagione formativa che in Dc impostò la costruzione di nuovi quadri dirigenti all’altezza delle esigenze del paese: poi, prima che se ne potessero vedere i frutti, l’intero fronte della politica nazionale cedette all’avanzare veloce e prepotente di nuovi equilibri anche internazionali. Restò comunque sintomatico che proprio la trascuranza delle grandi esigenze formative, dopo la stagione affidata a Giampaolo D’Andrea allo stesso Gianni Liazza, apparisse, come appare tuttora agli studiosi più attenti, una delle cause decisive dell’indebolimento strutturale del partito e della politica nazionale.

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Carissimo Giuseppe,

dopo la chiacchierata di ieri su Skype, sento il desiderio di scrivere a te e agli indimenticabili amici di cui abbiamo parlato a voce. Primo fra tutti Giampaolo. Quante cose abbiamo fatto insieme, lasciando un buon ricordo nelle persone giovani che abbiamo incontrato! Eppure sono passati anni. Qualcuna di tali persone ho avuto la buona sorte di ricontattarla e vedo che si è ben affermata nella vita: ma tutti questi giovani mi risulta che si siano ben realizzati, confermandosi anche come onesti e attivi cittadini.

Sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto insieme, con pochissimi mezzi e con un’organizzazione essenziale, quasi anemica: abbiamo avvicinato e aiutato a crescere migliaia di persone, in relativamente poco tempo. Sono orgoglioso del progetto Alone.

Lo dico a te e agli amici, con un poco di amarezza: è un grave peccato aver abbandonato quella strada. La crisi della nostra Italia è nelle coscienze dei cittadini ma anche nel suo funzionamento, ormai superato dall’evoluzione rapidissima che sta rendendo incerta ogni cosa, su questo pianeta. Abbiamo una penuria gravissima  di classe dirigente preparata e onesta.

Diciamolo: gli eventi, non sempre brillanti (anzi…) come la riforma del titolo V° della Costituzione, hanno aperto accessi alle posizioni di guida del paese per  gente non adeguatamente preparata e  molto incline a cedere alle tentazioni. La corruzione è diffusa, e i politici non sono sempre i più corrotti, anzi… E’ meglio sottolinearlo. E, purtroppo, in questa situazione, spesso chi fa bene riesce appena a gestire  correttamente l’ordinario: non vedo  progetti importanti, innovatori. Non vedo costruire futuro, soprattutto per le giovani generazioni.

Non vengono formati i cittadini, non vengono nutrite le coscienze, non si impara ad essere, prima ancora di acquisire  il sapere e il  saper fare. L’analfabetismo funzionale ci vede peggiorare nelle classifiche e non perchè la gente non va più a scuola ma perché non impara a ragionare, neanche a collegare la mente al corpo: e pensare che la moderna fisica quantistica ci informa che la coscienza sopravvivrà in eterno. Lo spirito che è in ognuno di noi è energia immortale, il corpo finisce e si dissolve: ma siamo più preoccupati di curare il corpo mortale che di arricchire lo spirito immortale. Come se fossero dimensioni separate.

Formare le coscienze, dunque, rendere gli esseri umani consapevoli e liberi e capaci di essere responsabili su questa terra. Ma chi lo fa? La scuola? Le famiglie? Meglio addirittura la strada, per quanto a volte mi viene da pensare ricordandomi del  ragazzo Gavroche de I Miserabili.

Mi hai detto di Giampaolo. Hanno lavorato seriamente, al ministero dei beni culturali, quando lui ci operava. Condivido ancora un pensiero colto al volo a suo tempo dall’allora capo del governo Renzi (mi si perdoni!...) e che cerco di riportare come lo ricordo; mi pare si riferisse al fatto ben conosciuto di essere depositari, come Italia, di tanta bellezza, ma di non esserne consapevoli, non saper vivere il ruolo storico dell’esserne custodi, e non saper organizzare una giusta “narrazione” in tal senso. Tutti nel mondo mangiano italiano (pensiamo alla diffusione della pizza e della pasta…), molti vestono italiano, scopriamo che la lingua italiana è una delle più studiate al mondo, e tanto altro. Molti stranieri visitano l’Italia proprio per vederne le bellezze. Ma è questa la cifra di consapevolezza e responsabilità degli italiani oggi?

La scuola è terribilmente deficitaria, non riesce a rinnovarsi; il mondo del lavoro non si rinnova nelle organizzazioni e nei metodi, i sindacati tacciono perchè non hanno nulla di significativo da dire e nessuno cura quello che alcuni giustamente chiamano il capitale umano, ma ci si ferma alle frasi retoriche che ormai rischiano di annoiare se non si sa come proseguire il discorso relativo al “cosa facciamo al riguardo”. Il capitale umano italiano dovrebbe essere arricchito e impregnato di storia e di bellezza, se non vogliamo lasciare anche questo patrimonio ad altri paesi, ad esempio ai tedeschi, che mostrano di apprezzarlo.

Serve coniugare il ruolo di chi custodisce e valorizza il patrimonio dei beni anche culturali, con chi dovrebbe lavorare ad arricchire il patrimonio dei giovani, che è il “capitale umano”. Creare classe dirigente con una cifra di identificazione specifica per la qualità umana, per i requisiti personali, per la competenza, per la capacità di servire il Paese. Per fare la differenza e cominciare a costruire futuro, finalmente.

Ci affidiamo alle Universita’? Non ne abbiamo avuto abbastanza? Hanno dilagato negli ultimi trent’anni dandoci quasi il nulla, in questa specifica dimensione. Hanno formato qua e là talenti che se ne sono andati, in gran parte: ma il nerbo della classe dirigente di cui abbisogna il paese non si è visto. Vuol dire che qualcosa non ha funzionato nel senso giusto.

C’è ancora qualcuno che ha voglia di ragionare di queste cose e magari di impostare qualche piccolo rinnovato esperimento, per vedere che effetto che fa, come cantava Jannacci? Se qualcuno, o la Scuola, volessero individuare e sperimentare qualcosa per rinnovare i processi di formazione delle persone, per  un nuovo umanesimo (ricordi le chiacchierate con Pasquino su questo concetto?), siamo ancora in tempo a rimettere in campo tutte le nostre belle esperienze.

Come può cambiare la politica, altrimenti? Occorrono nuovi processi, liberi ma efficaci, per aiutare giovani talenti a diventare classe dirigente. In carenza (purtroppo) di “maestri” bisogna inventarsi laboratori sperimentali dove nessuno predichi ma ognuno cerchi di fare bene e lo  faccia davvero. Io conobbi buoni maestri, che ricordiamo spesso insieme (basterebbe citare Dossetti…), ma adesso ne vedo pochi, in giro.

Non voglio tediarti oltre, ma mi dichiaro sempre disponibile a fare quattro chiacchiere ulteriori su questi temi, con te, come tante volte abbiamo già fatto, ma anche con gli amici che avessero ancora voglia di farne. Gli anni non hanno domato il mio spirito e la natura mi consente ancora di agitarmi come ai tempi in cui ci incontrammo per fare le cose che abbiamo fatto, tantissimi anni indietro, vedendo maturarne qualche bel frutto che tuttora fa onore al nostro paese, dovunque operi.

Continuo ad essere ottimista.
                                                                                                                                           (Giambattista Liazza) 
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