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C'era una volta

AVANTI, C'E' POSTO...

Silas non ne vuole sapere. Preferisce lo pseudonimo. Padronissimo. Ne ha diritto. Noi continuiamo a suggerirgli di venire allo scoperto perché quello che ci racconta – in forma di piccoli episodi familiari di cronaca del tempo che fu (o del tempo che è…) – merita la piena luce del sole sul volto dell’autore. Il quale tratteggia le sue piccole storie con tono apparentemente bonario e finissima ironia, dietro cui è evidente peraltro il sottile accoramento per la irrazionalità e ingiustizia di alcuni profili di costume sociale o di assetto organizzativo che il nostro paese (non solo la sua capitale) è venuto via via assumendo in questi ultimi decenni. E’ importante parlarne, per concorrere a ritessere pian piano, anche per questa via, il filo di una possibile trama di rinnovamento di tale costume e fargli riacquisire – è possibile! – il grande crisma della saggezza e del buonsenso; senza pretendere scioccamente che quanto era del tempo antico fosse tutto buono, ma senza neanche cadere nella insipienza così diffusa di pensare che “il nuovo” sia meglio comunque. Spesso in effetti il “nuovo” è solo più appariscente, o più superficiale, o addirittura più ingiusto e più stupido. Ma questo… giudicatelo voi di volta in volta.
Quanto alla piccola venatura di dongiovannismo che lo zio Attilio ci lascia intravedere nel suo raccontare, beh… non fateci caso. E’ il nipote che utilizza, discolo come tutti gli adolescenti, questa chiave di approccio letterario pensando di avvincere meglio la vostra attenzione su un argomento che nel suo fondo è, invece, di grande serietà civile.
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“Caro zio – ho detto l’altro giorno a mio zio Attilio – ho letto che a Roma è pronta a partire una nuova sperimentazione sugli autobus: sembra che i biglietti saranno venduti direttamente dai conducenti e che questi saranno considerati a tutti gli effetti anche agenti di polizia amministrativa, in caso di atti di violenza fisica o verbale…”
“Mah – ha risposto titubante il mio caro parente – ho molti dubbi in proposito… Anzitutto, se è vero quello che hai letto, bisognerà vedere come reagiranno i sindacati: tu sai che in Italia vige una netta separazione dei ruoli, cosa che non si verifica negli altri Paesi del mondo, dove gli autisti fanno un po’ di tutto, direi proprio un servizio completo, guidatore, bigliettaio, controllore ed anche pulitore. Ebbene sì, ero rimasto meravigliato già tanti anni fa, quando andai per vacanza a Singapore e sui mezzi pubblici avevo notato a fianco dell’autista proprio una scopetta e un cestello per raccogliere l’immondizia. Ma anche recentemente in una mia visita a Berlino ho notato che all’arrivo ad ogni capolinea il bus si ferma, fa scendere i passeggeri, chiude le porte e l’autista, si, proprio l’autista, pulisce il mezzo dalla eventuale immondizia, la butta nei cassonetti situati vicino alla fermata e solo dopo aver controllato che tutto è perfettamente a posto, allora riapre le porte ed è pronto alla ripartenza. Tu dirai ‘sono tedeschi’, mah… beati loro, non mi meraviglierei se l’autista fungesse anche da meccanico!
 
Da noi, invece, esistono per ogni cosa ruoli ben distinti, con la conseguenza che per far girare un autobus bisogna coinvolgere autisti, controllori, uomini delle pulizie, bigliettai o rivenditori di biglietti, installare macchinette obliteratrici (che bel termine, vero?) e qualche volta emettitrici, con il risultato che quando sali a bordo e non hai un biglietto a disposizione non sai mai se riuscirai a comprarlo o dovrai viaggiare da clandestino.
 
Certo, in questo modo nel nostro Paese si moltiplicano i posti di lavoro, pensa all’aumento di disoccupazione che ci sarebbe se le cose funzionassero come negli altri Paesi, ma considera pure che alla fine i costi di questa disorganizzazione si ripercuotono sulle aziende di trasporto e quindi sui cittadini che pagano (ormai in pochi) il servizio, anzi il disservizio”.
“Ma non pensavo, zio, che tu usassi l’autobus per i tuoi spostamenti”.
“Vedi, caro nipote, io utilizzo molto gli autobus quando sono all’estero, per me sono una forma rilassante per girare la città in pace e tranquillità, come se fossero un bus turistico. In genere sono puntualissimi, in alcuni Paesi ad ogni fermata una palina indica l’orario di passaggio e questi orari sono rispettati al secondo, cosa incredibile per noi. E poi in tutti i Paesi che ho visitato gli autobus hanno una unica porta di salita e una sola di discesa, quindi non è possibile sbagliarsi. L’unica volta che mi sono trovato in difficoltà è stato a Rio de Janeiro - si, ho amiche anche lì – dove al primo bus che ho tentato di prendere, non conoscendo il portoghese non sapevo se entrare dalla porta con la scritta ‘SALIDA’ o da quella con la scritta ‘ENTRADA’. E pensa anche che in una capitale dell’Est Europa - non ti dirò quale, dovrai scoprirlo da te - all’ingresso della metro non esistono né tornelli né obliteratrici, per loro è inconcepibile entrare senza biglietto… poi però se un controllore ti pizzica senza biglietto, allora sono dolori!
 
Certo, qui a Roma per i miei spostamenti preferisco usare il taxi, oppure usufruire di qualche passaggio di mie carissime… ehm… amiche. Ma in altri tempi io ho viaggiato molto in autobus, sin da quando ero ragazzino. Allora il servizio era molto differente e tu – ovviamente – non lo hai mai conosciuto. Anzitutto gli autobus li riconoscevi da lontano: oggi ne girano di tutti i colori e quando ne vedi arrivare uno non sai mai fino alla fine se è un pullman, un bus privato o uno pubblico. Una volta - fino agli anni Settanta, mi sembra – gli autobus erano colorati tutti allo stesso modo, verde oliva nella parte inferiore e verde bottiglia nella parte superiore. Poi qualche intelligentone scoprì che questa colorazione era stata disposta nel lontano 1929 durante il fascismo e allora si gridò all’importanza di abolire il ricordo del passato!
 
Negli anni Sessanta io prendevo il bus per andare a scuola, all’epoca andavo alle medie e ci volevano cinque fermate per arrivare a destinazione. Il biglietto costava 25 lire, prima delle otto il costo era ridotto a 15 lire per agevolare studenti e lavoratori, e io facevo di tutto per risparmiare quelle 10 lire che mettevo rigorosamente da parte e mi permettevano di comprarmi una liquirizia, un gelato o una pizzetta. C’erano anche bus “veloci”, facevano meno fermate e allora la tariffa era di 35 lire, poi a un certo punto del percorso la tariffa cambiava, tornava a 25 lire e allora il bigliettaio gridava “cambio tariffa!”
 
Si, perché negli autobus c’era un bigliettaio, seduto su un seggiolino a fianco della porta posteriore: aveva proprio il compito di vendere i biglietti (che si compravano solo a bordo) e di controllare le tessere di abbonamento. La salita era obbligatoria dalla porta posteriore, mentre la discesa era dalla porta centrale  che una volta era unica. Poi entrò in funzione un nuovo tipo di bus con in più una porticina anteriore – vicino all’autista – riservata solo alla salita degli abbonati con la tessera. In questo modo la salita e la discesa erano facilitate, il controllo dei paganti era assicurato e nessuno si permetteva di usare la porta sbagliata, anche scendere dalla posta posteriore era severamente rimproverato dal bigliettaio. Quando la piattaforma posteriore si affollava, allora il bigliettaio gridava “avanti, c’è posto!” Devi sapere – me lo raccontava mia nonna – che una volta sui tram i tranvieri dicevano “favoriscano avanti” ma quando con il fascismo venne abolito il Lei, allora trovarono più comoda la soluzione di abolire il verbo, ecco da dove è nato “avanti c’è posto” che tu, ovviamente, non hai mai conosciuto.
 
Ma le cose più simpatiche che ricordo sono quei cartellini appesi in tutta la vettura con i divieti e le raccomandazioni, alcune anche assurde: ‘Vietato sporgersi dai finestrini’; Vietato sputare’, anche questo retaggio del passato, di quando la tubercolosi impazzava negli anni venti-trenta e si cercava di debellare la malattia causata da un bacillo che era trasmesso nell’aria dai residui degli sputi; ‘Sorreggersi agli appositi sostegni’, come se ci fosse bisogno di ricordare che altrimenti si poteva cadere; ‘Non parlare al conducente’, che oggi si potrebbe tranquillamente cambiare in ‘Non parlare al conducente quando sta al telefonino’! E che dire poi della manovella che il conducente usava per aprire le porte… ero affascinato da quella manovra e dal suono che faceva, e ancora di più quando per aprire la porticina anteriore introdussero una seconda manovella più piccola… Oggi con l’introduzione dei pulsanti di apertura non c’è più gusto”.
“Quindi anche tu, zio, hai usato i mezzi pubblici e come mai hai smesso?”
“Ma vedi, nipote adorato, ho smesso di prendere l’autobus – ed anche la metro, per la verità – diversi anni fa: oggi guarda la confusione che c’è ad ogni fermata: si sale e si scende da tutte le parti, l’altro giorno un gruppo di studenti è entrato addirittura da un finestrino, nessuno ti controlla se hai il biglietto oppure no, ogni tanto qualcuno ti alleggerisce del portafoglio – è successo anche a me – e la confusione, l’affollamento, i ritardi, gli scioperi e ogni tanto qualche autobus che va a fuoco mi hanno convinto che potevo – specie alla mia età – permettermi di spostarmi in taxi. Avevo anche pensato di prendermi la patente ma alla fine ho fatto bene a rinunciare: oggi un po’ a tutte le ore, ma specialmente la mattina per andare al lavoro e la sera per tornare a casa, gli automobilisti sono assatanati e la strada diventa un percorso di battaglia dove per conquistare qualche centimetro la gente dà sfogo a tutti i suoi istinti più bestiali…
 
Ma ora, come al solito, ti devo lasciare: sta per arrivare una mia cara amica e siccome ha deciso di venire con i mezzi pubblici, sono sicuro che arriverà stravolta e la dovrò consolare. Tu vai pure tranquillo, caro nipote, con il tuo autobus: spero che anche tu troverai al tuo arrivo qualcuna che ti consolerà. E non dare tanto retta ai discorsi degli anziani come me, sii ottimista e guarda sempre avanti, in fin dei conti… avanti c’è posto!”
                                                                                                                                                              
                                                                                                                                                           (Silas)