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Europa

LA CULTURA PER USCIRE DAL GUADO

Leonardo Guzzo scriveva questo articolo circa un anno fa: ed è interessante osservare, oggi, come un’attenzione crescente circondi effettivamente il tema dell’indebolimento qualitativo dell’azione culturale in Europa, quasi a risottolineare la necessità di riscoprire finalmente il primato necessario di questo tema se si vuole restituire presa forte, nella coscienza degli europei, all’idea della unificazione del continente. Non avevamo presente l’articolo di Leonardo Guzzo, in occasione del recentissimo convegno di Padova dedicato al tema europeo, ma non è casuale che anche a noi sia venuto spontaneo proporre al convegno, nell’intervento introduttivo, la necessità del “rovesciamento necessario di paradigma: dalla centralità dell’economia alla centralità della cultura, anche per fare economia sana ed europea”.
 

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In un lungo articolo del 1984 (!!!) sul Corriere della Sera il celebre storico francese Fernand Braudel lamentava come, a quasi trent’anni (all’epoca, oggi a oltre sessanta) dalla firma dei trattati comunitari, stentasse a emergere e ad essere valorizzata la concezione di una “cultura comune europea”. Eppure, sosteneva Braudel, agli albori della globalizzazione, al cospetto di una prossima radicale ridefinizione della mappa geopolitica del mondo, la cultura era (ed è) la carta vincente dell’Europa. Se il primato politico ed economico del continente era ormai un lontano ricordo e i limiti dell’integrazione mettevano in forse la stessa capacità di competere sul mercato globale, l’Europa poteva ancora contare su un indiscutibile, per quanto vago, primato culturale. Il Vecchio Continente era il punto di irradiazione di un sistema di valori capace di attecchire in tutti gli angoli del mondo, all’interno di soggetti politici dai caratteri assai diversi: dalla superpotenza americana ai moloc sbreccati d’oltrecortina, dall’America Latina all’Oceania, dall’Estremo Oriente alle immense sabbie della “Umma”.
 
In nessun altro ambito come in quello culturale, sosteneva Braudel, “l’Europa è esplosa sul mondo”. Con l’effetto che “l’Europa culturale si stende, come una veste immensa, sopra l’Europa geografica”. Figure come Dante e Cervantes, Shakespeare e Mozart, Goethe e Rabelais hanno inciso sul Vecchio Continente, e su ogni angolo del pianeta, assai più di quanto non siano riusciti a fare, anche solo lontanamente, Carlo V o il Re Sole, Cromwell o Garibaldi, Bismarck o Napoleone. E allora perché mai, si chiedeva Braudel, nell’Europa “adolescente” degli anni ’80, “la cultura non è all’ordine del giorno con il massimo rilievo possibile?”.
 
Oggi, a trent’anni di distanza da quell’articolo, la situazione è perfino peggiore. L’Europa ha compiuto l’unione monetaria e ha moltiplicato la sua burocrazia, ma sembra aver perduto lo slancio vitale che l’ha accompagnata attraverso i secoli: appare invecchiata, sciupata dalla crisi, dalla stanchezza, da un’idea politica che doveva essere “giovane” e “grandiosa” e si è provata “vizza”, “cervellotica”, “vacua”. La parabola dell’integrazione pare ricondotta, per ironia, all’essenza del mito classico: come la fanciulla irretita da Zeus e derubata della verginità con l’inganno, il progetto politico più ambizioso del XX secolo è stato scippato dai governi (e dai burocrati) ai popoli. Oggi il pallido fantasma di quel progetto è sospeso a metà del guado, tra la tentazione di regredire allo storico canovaccio di rivalità nazionali e lo sforzo immaginoso di proiettarsi verso il futuro globale; vacilla, resta esposto alle correnti e a tutto il turbinio di vortici che può definitivamente travolgerlo.
 
Di un’autentica, consapevole integrazione culturale ancora neanche l’ombra… Ticchi e ubbie, pregiudizi e idiosincrasie governano i rapporti tra le nazioni molto più della coscienza di un’identità comune. Al punto di aver innescato un progressivo decadimento dello spirito europeista negli stessi cittadini europei. Altro che lenta ma crescente affezione verso la causa (e la casa) comune! Tutte le più recenti intese comunitarie sottoposte al voto popolare, a cominciare dalla cosiddetta “costituzione europea”, sono state malamente rigettate o accolte freddamente, per non dire controvoglia, con margini risicati e un certo disagio. La crisi economica e la risposta, timida e tardiva, dell’Unione hanno chiaramente esasperato questa tendenza fino a portare, per la prima volta, al centro della ribalta movimenti che apertamente contestano la moneta unica e l’impalcatura comunitaria. Come mai nel recente passato, l’idea di Europa rischia di diventare “fuori moda”. Irrealistica e perfino impopolare.
 
Per scongiurare la iattura le ricette sono arcinote. Alla dittatura dei numeri, si dice, dovrebbe sostituirsi una strategia più flessibile e un programma di vera politica economica; l’unione monetaria dovrebbe trasformarsi in una concreta aggregazione politica. Ma forse l’antidoto va cercato più a fondo, nella cultura come fonte e cemento essenziale dell’unità europea.
 
Recuperare e ricostruire un’identità comune del Vecchio Continente è la via maestra per orientare la bussola del processo di integrazione, il passaggio indispensabile per far emergere un senso di solidarietà e fratellanza tra i popoli. Non solo: riaffermare e rinnovare la sua identità culturale è il modo, per l’Europa, di conquistare nuova dignità sulla scena internazionale, di comprendere e magari di dirigere i processi che governano l’evoluzione della società globale. E’ l’unica maniera di tenere gli occhi aperti, a un tempo, su se stessa e sul mondo, sulle “altre Europe” che popolano il mondo.
                                                                                                                                     (Leonardo Guzzo)
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Europa

TRA NANI E GIGANTI

E’ un articolo già apparso di recente su Il Giorno, fra i tantissimi che trattano, come è giusto e nello stesso tempo come va (forse) troppo di moda, il tema europeo. “Va troppo di moda” significa soltanto che vediamo, nei ragionamenti sull’Europa, molta più retorica che dibattito profondo. Ma resta il fatto che votare, e votare al meglio possibile, secondo coscienza, per il prossimo parlamento europeo, è atto di responsabilità dal quale nessun buon cittadino dovrebbe dissociarsi. Riproduciamo dunque l’articolo, scusandoci per qualche espressione bruttamente dialettale che esso contiene (“tink tank” è semplicemente un Laboratorio di Pensiero, se si sa parlare in italiano e con eleganza). Preannunciamo che il prossimo 5 aprile si terrà a Padova un convegno proprio sul tema "Europa sì... Ma quale?".
 
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Se la maggioranza degli italiani ritiene l’Unione Europea non madre ma matrigna, una maggioranza ancora più grande vuole restare nell’Eurozona dei 19 Paesi. Segnale evidente di una certa confusione che è bene dipanare alla vigilia delle prossime elezioni per l’Europarlamento. Le prime, nelle quali 27 Paesi – non è ancora dato sapere quale sarà il destino del Regno Unito - voteranno non per scegliere un partito nazionale, ma il futuro dell’Unione. Si prospetta infatti una risicata maggioranza per i partiti moderati e l'ascesa di gruppi più nazionalisti ed euroscettici in quello che sarà il Parlamento Ue piú frammentato di sempre.
                                                                
Che Europa sarà?” si è chiesto in un convegno l’ISPI, uno dei più autorevoli think-tank europei fondato nel 1934. Un’Europa che deve completare, e in fretta, la traduzione nel concreto della magnifica utopia di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi (ispirati da un libro scritto da Junius, pseudonimo di Luigi Einaudi) con la collaborazione di Eugenio Colorni e di Ursula Hirschmann.
 
Al centro di tutto l’Euro, che nel 2019 compie vent’anni, dal quale dipende l’intera Unione Europea. Una moneta priva di una istituzione di riferimento, conseguenza dell’illusione che all’unione monetaria sarebbe seguita l’unione politica e fiscale, grazie ad un governo continentale in grado di tassare, investire, indebitarsi quando necessario. Non è avvenuto. Ed ogni Paese dell’Eurozona fa la politica economica che gli pare, anche se le sue scelte influiscono sui bilanci di tutti.
 
Solo per citare, le norme bancarie sono un cantiere aperto dove è stata imposta una sorveglianza europea sulle principali banche, ma non è stata ancora varata una normativa che garantisca chi nelle banche deposita i propri risparmi. E ci sono da adottare politiche fiscali comuni e in tema di lavoro, di difesa, di welfare, di diritti, di innovazione, di immigrazione, di ambiente.
 
Il problema di fondo, in tema di economia e di vincoli, viene dai Paesi del Nord guidati dalla Germania e investe scelte di ben maggiore calibro: ad esempio, la riluttanza dei Paesi ricchi ad accollarsi i debiti dei Paesi in difficoltà (anche indirettamente attraverso la flessibilita'): saremmo anche disposti a farlo, dice il Nord al Sud del continente, ma prima dovete  mettere a posto i vostri conti. Se non ci aiutate, risponde il Sud, non saremo mai in grado di farlo. I fatti e la logica sembrano dar ragione a questi ultimi.
 
Diversamente, si richiederebbe uno sforzo ultra vires: ad esempio, pur funzionando l'Italia sostanzialmente allo stesso modo dei paesi del Nord ( consistenti avanzi di bilancio) i conti non li riesce a sistemare a causa del costo dell'indebitamento.
 
A maggio sapremo se l'Unione, gigante economico e nano politico e militare, si darà un assetto in grado di competere con le superpotenze Usa e Cina oppure se è destinata a fare la fine della Lega di Delo.  
 
                                                                                                                              (Achille Colombo Clerici)

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Europa

L’UNIONE EUROPEA ALLA PROVA DEI NUOVI EQUILIBRI INTERNAZIONALI

Dopo quanto è successo in Canada alla riunione del G8 (8 e 9 Giugno 2018), con il documento finale, prima sottoscritto e poi ripudiato da Donald Trump, riappare lo spettro di una guerra commerciale tra USA e resto del mondo, con particolare riferimento all’UE,  e lo scenario della geopolitica internazionale sembra stravolto.
 
Trump con il suo cambio di strategia apre un contenzioso forte con l’Europa e sembra affermare la volontà degli USA di sostituire al G8 una triade USA-Cina-Russia, con l’Europa ridotta ad un ruolo laterale e marginale. Tutto ciò costituisce elemento di una necessaria non rinviabile riflessione in previsione del rinnovo del prossimo parlamento europeo.
 
Le difficoltà operative nella governance dell’Unione europea, anche a seguito della Brexit, con le sue conseguenze tuttora in fase di complessa risoluzione; i contrasti con i Paese di Visegrad e tra i Paesi del Nord e quelli mediterranei, non solo in materia di politiche di governo dei flussi migratori, si aggiungono a quelli più ampi della geopolitica internazionale, in conseguenza dei nuovi equilibri che l’annunciata “guerra doganale” con gli USA sembra determinare.
 
L’instabilità politica della Germania, dove si sta consumando la lunga stagione dell’egemonia di frau Merkel, le difficoltà in cui si dibatte Macron in Francia, dopo e nonostante  l’ottimo risultato elettorale delle presidenziali, il trionfo dei partiti sovranisti in Austria, Ungheria e la stessa recente formazione del governo italiano giallo-verde; l’avvio del quarto round della Brexit, che si sta dimostrando assai più complicato rispetto alle premesse, con riflessi contraddittori anche all’interno della stessa politica del Regno Unito, sono tutti elementi  che caratterizzano l’attuale difficoltà nel processo di costruzione e sviluppo dell’Unione europea.
 
Come è noto,  marzo del 2019 è la data fissata per la definitiva uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Al riguardo va tenuto presente che, in assenza di un accordo e nel caso  di “un’uscita disordinata”,  il Regno Unito dovrebbe operare secondo le regole del WTO, con la sequela di controlli doganali e tariffe da esse prescritte. A Londra già si teme per la scarsità di prodotti di vario genere e conseguenze sul piano della stabilità dei prezzi e nella disponibilità anche su prodotti di prima necessità.
 
Con l’uscita della Gran Bretagna si è riaperto, com’ è noto, il confronto acceso tra i 27 Paesi UE per decidere la definitiva allocazione delle sedi di EMA (Agenzia del farmaco), dopo il no alla proposta dell’Italia per Milano, e dell’Eba ( Autorità Bancaria) per la quale la Germania rivendicava la sede di Francoforte, dove già è allocata quella della Bce.
 
 Per l’Ema, la sede vinta per sorteggio da Amsterdam, dopo i ricorsi respinti dell’Italia e della città di Milano, a tutt’oggi non è ancora in costruzione e l’edificio temporaneo che dovrà ospitare l’Ema nei primi mesi del 2019, quando avverrà il trasferimento, non sarà in grado di ospitare l’intero staff dell’agenzia (si parla di circa 900 dipendenti). L’Eba alla fine, anch’essa per sorteggio, è toccata alla Francia e sarà ubicata  a Parigi la sede della prestigiosa autorità bancaria europea, a riconferma del ruolo dominante di Germania e Francia ( la “ Framania”) nell’Unione europea.
 
Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, d’altra parte, non è ancora ben chiaro il destino dell’Unione europea. Il Libro Bianco sul futuro dell’Europa mostra, infatti, cinque scenari diversi da qui al 2025: mantenimento dello status quo; semplice mercato unico; unità europea nella politica estera;  Europa a due  velocità; governance della politica dell’immigrazione col superamento del trattato di Dublino e politica comune della difesa.
 
Sul fronte dell’area Euro, infine, emerge l’ipotesi di un ministro delle Finanze unico della zona euro e la trasformazione dell’Esm, il meccanismo di stabilità, in un Fondo monetario europeo. Tema particolarmente arduo e delicato il completamento dell’unione bancaria con un sistema di garanzia unico per i depositi, prospettiva mal digerita e osteggiata sin qui dalla Germania.
 
La prossima riunione del Consiglio  dei ministri dell’UE per la definizione del bilancio comunitario e la riduzione graduale sino all’annullamento del Quantitative Easing, sono i passaggi a breve più delicati cui dovrà far fronte l’Unione europea. L’Italia, con la nuova maggioranza di governo, si appresta a richiedere per l’ennesima volta uno sconto sul deficit, al fine di garantirsi una maggiore disponibilità sui conti pubblici e margini di investimento per il rilancio dell’occupazione. Tutto dipenderà dalle scelte che sul Def in corso di definizione, il governo italiano sarà in grado di mettere in mostra rispetto alle attese dei partner europei.
 
Se questi  sono i temi più urgenti della prossima agenda europea, non vanno dimenticati quelli più strettamente politici connessi alla deriva politica dell’ Europa verso la destra radicale che accompagna la crisi profonda dei partiti tradizionali, gli assi portanti sin qui del parlamento europeo: Ppe e Spd, una crisi che sembra inarrestabile.
 
In un prossimo articolo cercherò di esaminare due temi a mio avviso essenziali per proporre una seria proposta riformatrice di ispirazione popolare ed europeista secondo i principi dei padri fondatori: Adenauer, De Gasperi e Schuman.
 
Il primo è quello del rapporto da rinegoziare nei trattati, al fine di superare i conflitti rivelatisi insanabili con la nostra Costituzione, specie quando, come nel caso del fiscal compact, quella decisione, nettamente in contrasto con gli stessi trattati liberamente sottoscritti, è stata il frutto di un regolamento di grado normativo inferiore ai trattati, redatto da euro-burocrati, con l’avallo irresponsabile anche di nostri autorevoli esponenti di governo. Fatto quest’ultimo ampiamente dimostrato dai saggi del prof Giuseppe Guarino, ahimè, sin qui  volutamente e colpevolmente misconosciuti.
 
Il secondo è il tema della sovranità monetaria che, nei modi  in cui si è sin qui realizzata a livello dell’Unione e in quasi tutti i Paesi componenti della stessa, con il controllo de facto della Bce e delle banche centrali dei diversi Paesi da parte degli edge funds anglo caucasici (kazari), riduce la “sovranità popolare” a  un ectoplasma senza sostanza; con le politiche economiche prone al dominio degli interessi dei poteri finanziari, che subordinano ad essi tanto l’economia reale che la politica. In sostanza, annullano de facto la democrazia e le fondamenta stesse su cui si regge il nostro patto costituzionale.

 
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