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Lingua italiana

DALL'ASSESSORA AL WEBETE

Il linguista Paolo Pivetti, scrivendo su Il Messaggero di Sant’Antonio, ha avuto modo di chiarire un’altra delle sciocche insulsaggini linguistiche messe in circolazione da piccoli trogloditi culturali che pensano in questo modo di combattere una loro battaglia ideologica in difesa delle donne: è una battaglia che invece va combattuta con politiche e comportamenti attenti alla dignità concreta di ogni singola persona in quanto tale, non umiliata da bambinesche scempiataggini linguistiche distraenti. Abbiamo avuto modo in passato di spiegare che non avrebbe senso pensar di tutelare i diritti maschili affermando cose del tipo “il mio patrio è l’Italia”, “io appartengo al chieso cattolico”, “adesso distruggeremo questo barriero architettonico”, etc. Osserva Paolo Pivetti:
 
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Maria Elena Boschi, basandosi su un parere dell’Accademia della Crusca, precisa in un pubblico dibattito che lei è la ministra non il ministro. Laura Boldrini, dal canto suo, esige di essere definita la presidente, non il presidente della Camera. Ad entrambe sfugge che nei loro casi la forma maschile (il ministro, il presidente) ha un valore neutro, in quanto mette in primo piano il ruolo rispetto alla persona, e non suonerebbe per niente come discriminazione anti-femminile.
 
Poi c’è il caso drammatico del Comune di Roma sul quale i giornali, dovendo parlare della Raggi e della Muraro, si sbizzarriscono coniando femminili tipo la sindaca, l’assessora. Forse per una malintesa preoccupazione di “quote rosa” nel linguaggio quotidiano, si coniano inusuali neologismi e non si tiene conto del fatto che anche qui la forma apparentemente maschile (il sindacao, l’assessore) è corretta e preferibile, sia da un punto di vista istituzionale che linguistico. E poi, a proposito di forme maschili o femminili, quando mai si è sentito il bisogno di dare forma maschile a nomi femminili ormai consacrati dall’uso, come la guardia, la guida, la sentinella, La spia, eccetera, che indicano ruoli spesso occupati dai maschi?
 
Tra le novità linguistiche di questi tempi c’è dell’altro. Ci sono anche particolari divertenti. Enrico Mentana, direttore del Tg de La7 butta lì un webete per dare il giusto titolo agli autori di commenti stupidi sui social network, creando un ironico neologismo, sintesi di web + ebete, cioè l’ebete del web. E’ un meccanismo non nuovo e ben collaudato se pensiamo, tanto per fare un altro esempio, al videota di qualche decennio fa, sintesi di video + idiota. Divertenti libertà, queste, che la lingua ci permette, a patto che siano guidate dal gusto e dall’intelligenza.
 
                                                                                                                                        (Paolo Pivetti)
                                                                                                                               Il Messaggero di Sant’Antonio
 
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