Prospettive

CORONAVIRUS PRIMA STAGIONE: E POI?

Giuseppe Bianchi, con il suo Istituto per le Relazioni Industriali e di Lavoro, traccia un quadro della prospettiva del nostro paese in uscita dal coronavirus, che sottolinea la necessità di tornare a vitalizzare il meccanismo fondamentale della nostra democrazia  e della nostra tensione civile, per restituire all’Italia una speranza che non sia sempre e solo quella miseramente congiunturale. Proponiamo la riflessione.

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Con la pandemia, la dimensione del tragico è tornata nella realtà. I fantasmi della morte, della malattia, del dolore, oscurati dal vitalismo rampante delle nostre società, sono tornati. I camion militari carichi di bare, l’ansia per una malattia sconosciuta, il dolore in solitudine per la perdita di persone care, hanno creato una depressione labirintica senza via di uscita. Perché, nel contempo, l’aggressione totalizzante del virus ha reso impossibile la fuga verso rifugi sicuri, rendendoci prigionieri entro le mura di casa. Contrariamente alle guerre del passato, non è venuto a mancare il pane, ma le libertà che hanno arricchito la qualità del nostro benessere: libertà di viaggiare, di incontrare persone, di disporre delle proprietà.
 
Ed è difficile prevedere quanto durerà questa sorveglianza da parte dei tutori della salute pubblica in un mondo aperto, globalizzato, esposto al rischio di nuove epidemie e nello stesso tempo tanto avverso al rischio.
 
Ma non c’è solo la pandemia: ci sono altri fattori che si muovono nella stessa direzione, che vanno a destabilizzare i nostri modelli di vita. È in atto una rivoluzione tecnologica con i robot, con l’intelligenza artificiale, destinata a modificare il nostro modo di produrre, di lavorare e di consumare. Ci sono le applicazioni digitali, già sperimentate nel corso dell’epidemia, che consentono di tracciare i nostri movimenti, di disporre dei nostri dati più personali, configurando nuovi strumenti di controllo sociale che possono ingabbiare le nostre libertà. E come non evocare i nuovi bisogni di sicurezza che nascono dai mutamenti climatici in atto o dai progressi delle biotecnologie, che sono in grado di manipolare i due punti chiave del nostro percorso umano: la nascita e la morte?
 
In sintesi, siamo in presenza di forze dirompenti dei nostri equilibri economici e sociali, i cui poteri sono concentrati in mano di pochi: le privative che governano le nuove piattaforme digitali, i grandi centri di ricerca scientifica e tecnologica, i grandi gruppi finanziari e industriali, la politica di potenza di paesi illiberali (Cina, Russia).
 
Sorge a questo punto la domanda: di quali strumenti di governo dispongono le nostre società democratiche per affrontare l’onda lunga di questi cambiamenti imposti da istituzioni sottratte al controllo democratico? In altre parole, quale sarà la capacità dei nostri sistemi democratici di mantenere i loro tratti libertari nel futuro che si sta delineando?
 
Lo schema classico dei sistemi democratici è costituito da un insieme di procedure che legittimano, tramite il voto, la rappresentanza del popolo nel Parlamento, che delibera quanto il Governo deve realizzare. Questo schema si è già andato evolvendo sotto la pressione di nuove emergenze (sia sanitarie che economiche e sociali) spostando l’asse decisionale a favore del Governo e di organismi tecnici di vario tipo, in nome della governabilità. Si è ridotta la sovranità del popolo rappresentata nelle assemblee legislative. Una evoluzione, come già detto, trainata dalla domanda di protezione dei cittadini che, nelle situazioni di crisi, sono tentati di delegare alla politica la tutela della loro sicurezza e del loro benessere.
 
La pandemia in corso ha però reso evidente l’inadeguatezza dell’attuale politica nell’esercitare tale tutela. A due mesi e oltre di distanza dal nostro confinamento, test sierologici, tamponi ed app di tracciamento non sono ancora in grado di tenere sotto controllo la diffusione del virus, mentre le generose promesse fatte dal Governo sul fatto che nessuno rimarrà indietro rimangono ancora in gran parte inevase.
 
In questa Nota non interessa evocare, ancora una volta, la fragilità della nostra finanza pubblica o le inefficienze strutturali di un sistema debilitato nella sua capacità di crescita. C’è una specificità del nostro sistema politico nel contesto europeo da ricordare. La perdita di ruolo dei partiti e, sia pure in misura minore, delle altre organizzazioni di rappresentanza collettiva degli interessi (Confindustria, Sindacati e altre) che, nel passato, esercitavano una funzione di selezione e di contenimento delle domande sociali, svolgendo una funzione educativa e di selezione delle classi dirigenti. La condivisione dei cosiddetti vincoli macro-economici (in parte di origine europea) delimitavano il campo entro il quale regolare il conflitto politico e sociale.
 
L’epidemia del coronavirus ha creato una situazione inedita di un Governo assediato dai molteplici interessi che rivendicano risarcimenti (veri o presunti) senza che lo stesso Governo abbia una bussola che orienti i suoi interventi. Rimane aperta la questione se la capacità di indebitamento del nostro Paese, considerando anche gli apporti dell’Unione Europea (ancora da precisare) sarà tale da soddisfare tutte le richieste e soprattutto quanto spazio rimarrà per attivare gli investimenti pubblici e privati necessari per riattivare la crescita economica ed occupazionale.
 
Ma dietro la crisi dei partiti e delle rappresentanze sociali c’è un altro effetto non meno importante. La perdita di valori comunitari rappresentati nelle grandi ideologie partitiche del Novecento e nelle strategie delle parti sociali che presentavano una indissolubile mescolanza di interessi e di ideali.
 
I cittadini, pur nella difformità delle loro appartenenze sociali, riponevano nelle istituzioni democratiche le aspettative riguardanti i loro progetti di vita, partecipando ad un’etica della responsabilità.
 

Non è un caso se nel corso dell’attuale pandemia si sia tornati a parlare di speranza, di solidarietà, di cooperazione: la riprova che un sistema democratico vive non solo di risorse economiche, ma richiede anche una dotazione di energie morali, di virtù pubbliche. La pandemia in atto ha aggravato le disuguaglianze sociali, ha ridotto le nostre libertà, ha scoraggiato le speranze dei giovani, ha evidenziato la carenza di beni pubblici. La leva degli interessi appare inadeguata a sollevarci da una crisi sanitaria che è diventata sistemica nella misura in cui ha messo in crisi gli equilibri già precari del nostro sistema economico e sociale.
 
Nell’emergenza sanitaria sono prevalsi la tutela della salute e il sostegno alle strutture produttive. Uno stato di eccezione che ha legittimato il decisionismo del Governo al di fuori delle normali procedure. È però difficile pensare che la paura del contagio e l’assistenzialismo risarcitorio dello Stato possano costruire un futuro per il Paese, all’interno di uno scambio tra diritti dei cittadini e tutela della politica.
 
Occorre riannodare i fili che legano economia, liberà ed uguaglianza in un progetto di sviluppo che, all’interno di un orizzonte temporale utile, consenta di riattivare la normale dialettica politica e sociale. Un impegno di rinnovamento che chiama in causa la qualità della spesa pubblica, la riattivazione degli investimenti, le politiche per l’occupazione e così via.
 
Ritorna il quesito: il nostro sistema politico ha una dotazione di solidarietà e di virtù pubbliche per gestire una tale sfida? La politica si è sconnessa dalle culture presenti nella società civile: culture religiose, laiche, civiche che un tempo alimentavano il dibattito politico. Un pluralismo di valori incassato nello stato di cittadinanza dei cittadini che creavano legami sociali e sostenevano la partecipazione alla vita democratica. Un patrimonio di valori pre-politico che arricchiva la ragione pubblica alla base delle decisioni politiche.
 
È difficile pensare che la solidarietà manifestata nella paura epidemica regga di fronte al conflitto degli interessi della fase successiva di difficile ripresa economica. La divisione è un tratto antropologico della nostra popolazione.  Ma ora siamo in una fase di disincantamento. Si ritornerà a crescere ma l’alta marea prevista non sarà in grado di alzare tutte le barche. L’Italia – “nave senza nocchiere” rischia di infrangersi contro gli scogli.
 
Ritorna il vecchio dilemma storico: o le nostre istituzioni democratiche recupereranno la loro autorevolezza con un supplemento di virtù pubbliche in termini di solidarietà o di coesione, o ci sarà una deriva verso politiche illiberali, a dimostrazione che il potere non arriva a chi sa farne l’uso migliore bensì a chi è più abile a conquistarlo.
                                                                                                                   
                                                                                                                                    (Giuseppe Bianchi)
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