Politica

REFERENDUM: CON SERENITA' E RISPETTO VOTEREMO SI'

Cari amici,

mancano ormai pochi giorni alla celebrazione del referendum sul taglio del numero dei componenti il parlamento italiano (oggi sono 945 più gli ex presidenti della repubblica).
Non ho fatto e non faccio alcuna “campagna di voto”, pur avendo da tantissimi anni una mia idea precisa sulla materia.  E volutamente ho atteso questi ultimi giorni prima del voto per sintetizzarvi la mia riflessione finale, con serenità e rispetto per quanti pensano diversamente da me.
Ho trattato spesso l’argomento della consistenza numerica del parlamento, l’ho trattato da tanti anni, e certo ben prima che si profilasse l’attuale referendum, e ben prima che si pensasse alla modifica del numero dei parlamentari da parte del governo in carica e di quello precedente e di quello precedente ancora. Anzi, ne ho trattato ben prima che esistessero tutti gli attuali partiti dello schieramento costituzionale.
Ne ho parlato e scritto fin da quando studiavo diritto costituzionale e comparato all’università, e poi via via che mi sono occupato di problemi istituzionali sia nell’apparato della direzione centrale della Dc storica sia in altri ambienti di studio e di lavoro. Ne ho parlato in modo particolare in un mio volume del 1982 dal titolo “La società istituzionale”. Sono tanti anni, dunque; veramente tanti. E, come deve fare ogni onesto studioso e ogni bravo cittadino, ho sempre cercato anche, appunto con onestà, motivi adeguati per cambiare idea. Ma non ne ho trovati.
Anche del problema più complessivo dell’ipertrofia dell’apparato istituzionale e pubblico più generale del nostro paese, del resto, ho parlato sostanzialmente da tanti anni, e l’ho fatto, come per il problema della efficienza della funzione parlamentare, in compagnia di studiosi e cittadini ben più autorevoli di me, non solo italiani: il problema di come possa funzionare al meglio un’assemblea rappresentativa democratica, e in generale uno Stato, è in realtà di tutti i paesi e di tutti i tempi, naturalmente, fin dall’antica Grecia e ancora prima; l’ho fatto a cominciare dai maestri sui cui libri e sul cui insegnamento si sono svolti i miei studi universitari, come accennato, da Mortati a Calamandrei a Crisafulli a Barile a Onida ai padri costituenti della nostra repubblica e via via fino a Moro e Fanfani.
Ne ho parlato ancora più intensamente a partire dal 2012, perché dal 2012 ad oggi si è intensificato il tentativo di ricostruire, in compagnie ben significative come quella di Gianni Fontana, un grande partito popolare di ispirazione cristiana per il ventunesimo secolo, che collegasse la forte tradizione del cattolicesimo democratico popolare sturziano con la migliore esperienza della Democrazia Cristiana storica a partire dal nucleo fondativo dei citati padri costituenti che diedero vita alla nostra repubblica, e fino agli altrettanto citati Moro e Fanfani; e facesse funzionare al meglio le rispettive istituzioni rappresentative.
Nei documenti elaborati per queste vicende e per questo impegno un capitolo particolare è stato sempre dedicato, particolarmente da Gianni Fontana e dal sottoscritto, al concetto di “Stato snello”, cioè di come appunto far funzionare le nostre istituzioni repubblicane (e l’apparato pubblico in genere) secondo lo spirito con il quale i padri costituenti le pensarono: effettivamente rappresentative ed effettivamente democratiche.  
Sono tanti, questi documenti, a partire dalla organica relazione che lo stesso Fontana presentò a novembre del 2012 per l’assemblea nazionale di rivitalizzazione del pensiero e dell’azione democratico-cristiani, e dagli altri successivi, che gran parte dei miei amici, e non solo loro, conoscono. A tali documenti rinvio per il ragionamento sviluppato a motivazione della mia opinione, parendomi eccessivo citarli nuovamente qui. Essi sono sempre a disposizione di tutti.
E spiegano in sintesi perché e come siano da considerare ormai maturate, e ancora di più lo siano a ventunesimo secolo inoltrato, le condizioni storiche per snellire ed efficientizzare, oltre agli apparati complessivi dello Stato (la baraonda  che comincia con il Cnel e prosegue con le miriadi di enti ormai  realmente inutili, nazionali e regionali, con la duplicazione relativa delle competenze scoordinate, e con l’elefantiasi delle normative che a tutti i livelli tormentano i cittadini) la composizione numerica del parlamento nazionale incamminandolo sia verso la unicameralità sia verso una ragionevole riduzione del numero dei suoi componenti. La proposta finale elaborata dal sottoscritto e da Gianni Fontana considerava e considera il numero di cinquecento parlamentari pienamente adeguato a un grande ed efficiente parlamento nazionale.
Lo snellimento numerico del parlamento una volta superata la fase di consolidamento della repubblica, è stato visto sia dai padri costituenti sia da studiosi di tutte le appartenenze politiche come semplice, naturale e necessario strumento tecnico di efficientizzazione e coerentizzazione del lavoro parlamentare e della sua rappresentatività. Con questa prospettiva di efficientizzazione non c’entrano i governi di destra o di sinistra o di centro e non c’entrano i partiti politici. C’entra trasversalmente l’amore e la preoccupazione per la veridicità e credibilità della nostra democrazia e del funzionamento delle sue istituzioni. Lo snellimento è, e deve essere,  una misura tecnica, non una misura politica.
Né si può ironizzare miserevolmente sulla storia del risparmio rispetto ai costi abnormi dell’attuale parlamento, risparmio che equivarrebbe semplicemente a “un caffè all’anno per ogni italiano”. Nessun padre di famiglia ragionerebbe in questi termini quando fra i suoi figli ci sono ancora tanti problemi seri da risolvere: è immorale ragionare così,  e infatti tendono a ragionare così soltanto i lorsignori ben pagati per i quali un caffè è effettivamente  quasi nulla. Per i poveri e i disoccupati non è affatto così. La triste ironia sul caffè mi ricorda i casi nei quali qualche dirigenza aziendale di mia conoscenza pretendeva di attribuirsi un aumento di stipendio di “soltanto” mille euro mensili ma contemporaneamente per i dipendenti non ne ravvisava disponibili nemmeno dieci.
Mi sembra scorretto anche richiamare enfaticamente la difesa della “Costituzione più bella del mondo” e dello “spirito dei padri costituenti” senza effettivamente conoscere cosa ciò significa, e cioè conoscere a fondo la storia di quel testo e di quei padri. Quando ci si riferisce alla costituzione più bella del mondo ed allo spirito grande dei padri costituenti ci si riferisce esattamente alla prima parte della costituzione, quella dei valori, principi, diritti e doveri. L’altra, quella delle tecnicalità, gli stessi padri costituenti la consideravano evolutiva a mano a mano che la società italiana avrebbe consolidato il suo sviluppo economico, sociale e culturale. E’ in questo senso che dobbiamo essere strenui difensori del testo della nostra costituzione. Non con la fessaggine della fissaggine.
Di fronte all’attuale referendum sulla proposta di portare il parlamento italiano da novecentocinquanta componenti a seicento, dunque, la mia serena valutazione è che sia del tutto opportuno votare sì sulla scorta di tutto ciò che insegnano la storia e la scienza dell’organizzazione in materia di funzionamento di tali organizzazioni.
Con me voteranno sì tantissimi amici di diversi orientamenti politici e di diverse esperienze professionali e civili, mentre altri amici voteranno no per ragioni diverse, collegate soprattutto all’attuale quadro politico e partitico del paese , dal quale a me sembra invece doveroso prescindere perché il funzionamento strutturale delle nostre istituzioni va molto al di là e molto al di sopra, ed è molto più importante, di tale quadro. Ci rispettiamo reciprocamente, comunque, e sinceramente, al di là del nostro voto, come è normale e giusto tra amici e cittadini democratici.
Mi ha molto colpito ed amareggiato, invece, l’atteggiamento di chi, tanto sul fronte del sì quanto su quello del no, ha fatto del referendum un astioso tema di polemica partitica pro o contro questo o quel partito attuale, caricando la polemica con una virulenza e offensività di toni e motivazioni che francamente mi sembra nulla abbiano da vedere con la dinamica democratica e con la civiltà del nostro paese. E che il più delle volte manca anche di fondamento storico e persino giuridico.
Non faccio nessun conto della superficialità dei Di Maio e degli altri che con lui riducono a slogans palingenetici il loro schieramento per il sì, né della irresponsabilità dei Zingaretti che, incivilmente e diseducativamente, hanno definito “quattro buffonate di quattro buffoni” le posizioni del governo avversario salvo cambiare opinione e linguaggio quando al governo ci sono andati loro… con il partito già da loro dichiarato buffone. Un autentico squallore che non merita neppure commenti ma solo evidenziazione, come è anche per quelli del fronte opposto il cui misero mestiere quasi esclusivo è quello di apparire in tv a sputare sugli avversari con i quali, proprio in parlamento, rappresentano il popolo italiano.
 
Provo ammarezza, piuttosto, per quei tanti sostenitori del no che tacciano quanti come me hanno deciso di votare sì, definendoli (e cito alla lettera) “seminatori di odio e di antipolitica”, “allocchi”, “populisti”, “qualunquisti”, colpiti da “aurea imbecillitas”e altri epiteti non meno offensivi e privi di rispetto e di senso di responsabilità. Non mi ci vedo davvero come seminatore di odio, cari amici, né come allocco, né come populista, né come “servo della incipiente dittatura di sinistra” (hanno scritto anche questo), né altro di simile, per il semplice fatto che ho deciso di votare sì al referendum. Questo lo dico sul piano morale.
Sul piano culturale, poi, non mi fa una impressione meno penosa il vedere un tema così delicato come quello del referendum sul funzionamento tecnico del nostro parlamento nazionale venir ridotto, come ho accennato, a una miserevole polemica pro o contro gli attuali partiti, siano essi al governo o all’opposizione. Mi sembra davvero che si tratti di immaturità civile e politica e di veduta culturale dannosamente corta.
Detto questo per onestà verso chiunque mi conosce ma anche verso chi in passato mi ha letto senza conoscermi personalmente, confermo con serenità che voterò decisamente sì al referendum, e che invito gli amici di consonanti ideali e amore per il paese a votare sì.
Confermo non meno il mio onesto rispetto per quanti voteranno no, e mi auguro comunque che insieme si possa, dopo questo referendum, affrontare l’ancora più importante, anzi centralissimo, tema della legge elettorale, quella legge elettorale che da molti anni ha tolto ai cittadini il diritto di scegliere direttamente i nomi dei loro parlamentari lasciando loro, soltanto, il diritto di votare liste di cooptati dai partiti stessi: e impedendo qualsiasi alternativa con gli strumenti  più subdoli e disonesti, a cominciare dall’abnorme e impediente numero di firme occorrenti per presentare le candidature. Democrazia trasformata in oligarchia, con la connivenza attiva, da molti anni a questa parte, di tutti i partiti di destra, di sinistra e di centro. Sarò con non minore impegno su quest’altra battaglia. E considero intanto il mio voto per il sì al referendum sul taglio del numero dei parlamentari una tappa significativa di tale più complessivo impegno.
                                                                                                         
                                                                                                                                                  (Giuseppe Ecca)

Roma, 15 settembre 2020.
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