Democrazia

SENSO DI INSICUREZZA E CLIMA ICONOCLASTA

Cosa succede alla nostra democrazia senza più partiti fortemente strutturati, che affrontino con una visione alta e nazionale i problemi del paese, e costituiscano un riferimento affidabile e stabile per i cittadini? Dal 2017, quando Giuseppe Bianchi scriveva questa riflessione, il problema non soltanto non ha avuto risposta ma sembra essersi acuito. Insomma, siamo in attesa più che mai di democrazia diffusa e partiti strutturati.

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C’è in giro una furia iconoclasta che non risparmia alcuna istituzione e chi la rappresenta. Un processo avvolgente che si è espanso a macchia d’olio. Ha progressivamente coinvolto le istituzioni della democrazia rappresentativa, la classe politica, i partiti, i sindacati, le istituzioni indipendenti di garanzia (per tutte la Banca d’Italia) l’alta burocrazia statale, per arrivare alle istituzioni locali che gestiscono i servizi di prossimità qualI scuole, trasporto, sanità. Riflesso di un disagio e di un senso di insicurezza che si esprime anche con lo sciopero elettorale da parte di molti che presumono di poter vivere meglio in una società senza politica, “impolitica”.
Presunzione errata perché da quando si sono costituite le società organizzate, il bisogno degli uomini di tessere relazioni sociali, di darsi libere regole di convivenza, ha portato alla nascita della politica e delle sue istituzioni quale condizione per risolvere problemi non risolvibili a livello individuale. E ciò non è meno vero oggi a fronte della constatazione che l’individualizzazione del conflitto, la guerra privata di tutti contro tutto, accresce la frustrazione dei cittadini ma non porta soluzioni.  Rimane la distinzione tra la buona e la cattiva politica, fra le istituzioni che funzionano e quelle che non funzionano.
Senza troppo assottigliare, i regimi politici sperimentati possono essere distinti fra regimi politici democratici e regimi politici autoritari e va anche detto che i regimi democratici sono stati nella storia un intervallo tra regimi autoritari, spesso camuffati sotto forme diverse, come oggi avviene con la democrazia del web.
Il problema è che la democrazia, nella sua forma pluralista, è difficile da gestire in società complesse ed articolate negli interessi espressi, con l’effetto di rendere tortuosi e lenti i processi decisionali della politica.
Da un lato ci sono sfide, quali la globalizzazione, la velocità delle nuove tecnologie, che aggravano i problemi sociali quali la disoccupazione, le ineguaglianze, dall’altro trovano limiti le tradizionali politiche socialdemocratiche basate su investimenti pubblici e welfare generosi. Questo perché il nostro Paese è entrato a far parte di una società politica più ampia, la UE (e non poteva essere diversamente) che ha offerto nuove opportunità, ma imposto nuovi vincoli.
In sintesi c’è un nodo di problemi irrisolti che pone la nostra democrazia in un bivio: o rilancia su sé stessa, ricostruendo ed allargando le sue istituzioni rappresentative, o si apre a nuove soluzioni autoritarie, largamente presenti nel mondo di oggi.
Ricostruire le istituzioni democratiche significa dire che le tradizionali istituzioni politiche rappresentative devono essere rafforzate con la diffusione di micro democrazie dal basso che allarghino la partecipazione dei cittadini nei luoghi di lavoro e nella gestione dei servizi di prossimità (scuole, trasporti, sanità) il cui funzionamento, più o meno efficiente, determina la qualità della loro vita. Si dice che il cittadino non è interessato: ma quale offerta di partecipazione gli è stata data? Non è forse vero che negli USA la democrazia sostiene la sua vitalità nell’amministrazione delle comunità locali?
Ricostruire le istituzioni democratiche significa anche far recuperare alla politica un sano realismo. Il gioco delle promesse elettorali al rialzo, se ripetuto nel tempo, sfiducia la partecipazione del cittadino ad un gioco palesemente truccato. Stiamo vivendo una stagione elettorale i cui esiti incerti alimentano preoccupazioni nel nostro Paese ed in Europa. C’è un dato nuovo. Il riallineamento di gran parte dei giornali e dei media su posizioni quasi massimalistiche. Un Corriere della Sera (11 novembre 2017) che parla di “crisi di regime”, di “vuoto di legittimazione che sta inghiottendo il sistema democratico”... Un messaggio ambiguo che può sollecitare il lettore all’impegno politico o al disimpegno a fronte di una situazione compromessa. Questa ambiguità non può essere condivisa dalle forze politiche, economiche e sociali, che hanno concorso alla costruzione dell’attuale sistema democratico. O diventano parte attiva nella sua necessaria ricostruzione, rafforzandone le fondamenta, o, quando si sveglieranno, troveranno una società politica in cui, per alcune di esse, non ci sarà più posto, o un posto di passiva rappresentanza.
                                                                                              
                                                                                                                                     (Giuseppe Bianchi)
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