Società

MIO ZIO ATTILIO E UNA GRAN BELLA AVVENTURA

Chissà perché il mio grande amico Silas non vuole saperne di firmare i suoi pezzi con il vero nome ma preferisce questo ininterpretabile Silas: tanto più interessante, il quesito, per il fatto che Silas ha davvero una penna raffinata e vivace, immaginosa ed attenta… doti che sarebbe bello sentirsi onestamente riconoscere dai lettori anche quando ci si incontra per strada. Ma non posso fare violenza alla sua precisa volontà: la firma sarà, ancora una volta, questo antipatico “Silas”. Ma il pezzo resta di un acuto ed elegante umorismo dietro cui si sviluppa una osservazione solo apparentemente bonaria su quei “mali quotidiani” che la città più bella del mondo, la nostra Roma, di cui sia Silas sia io siamo cittadini di adozione e appassionati tifosi, pare non riuscire a scrollarsi di dosso nonostante la loro così invasiva evidenza e nonostante il sostegno di quell’entusiastica folla che appena qualche anno fa ha gridato “Questa volta ci avemo la sindaca donna e vedrete come tutto migliorerà: noi donne pe’ Roma, finalmente… ve famo vede…”.
 
°°°°°
 
L’altro giorno ho deciso di andare a trovare mio zio Attilio.
Lo zio è sempre stato considerato il saggio della famiglia, sebbene in alcuni momenti in passato si sia comportato quasi come uno scapestrato. Non si è mai sposato ma ha sempre avuto molte donne e, da quello che mi raccontavano i miei genitori, ha sparso il suo seme per il mondo contribuendo così al problema del sovraffollamento: infatti ha girato il mondo – non ho mai capito se per lavoro o per diletto – e ancora oggi continua a viaggiare, anche se io sospetto che lo faccia per andare a trovare qualche sua vecchia fiamma o il frutto delle sue passioni; in fin dei conti, ancora oggi che ha raggiunto una certa età, con il suo aspetto da gran signore, alto con capelli folti, barba e baffi ormai completamente bianchi, continua ad esercitare il suo fascino e ad essere coccolato da belle signore.
Ma sto divagando… Forse un giorno, se ne avrò tempo e possibilità, racconterò meglio di questo mio singolare parente. Stavo dicendo che per me visitare lo zio significa attraversare esattamente tutta la città, abitando egli nella parte opposta a quella dove risiedo io. E per una volta, ho pensato, me la prendo comoda, cercherò di utilizzare i mezzi pubblici e di godermi il più possibile il “viaggio”… perché di vero e proprio viaggio si è trattato.
Per arrivare alla prima fermata utile della metropolitana ho dovuto usare l’auto (nel mio quartiere l’unico autobus passa – se passa – ogni mezz’ora nelle ore di punta) ed ho percorso – quindi – gran parte di quella lunga strada che collega Roma con il suo quartiere sul mare, Ostia Lido, passando dall’Eur. Ora, dovete sapere che sin da quando ero bambino e percorrevo questa strada con mia madre sulla sua mitica Seicento, si parlava molto di un sistema automatico per sincronizzare i semafori – che sono numerosi, visti i tantissimi incroci – in modo da trovare sempre via libera, una volta trovato il primo semaforo verde, ed evitare le continue fermate con il rosso. L’avevano chiamata “Onda Verde”, questa ingegnosa soluzione e sembrava un toccasana per risolvere almeno in parte il problema del traffico. Sono passati cinquant’anni e, come parecchie cose nel nostro Paese, non se n’è fatto più niente, di “Onda Verde” è rimasto solo uno sbiadito ricordo ed il titolo di una trasmissione radio che si occupa appunto di traffico. E quando si percorre questa benedetta strada, ovviamente e chissà perché, si incrociano sempre tutti i semafori rossi!
Diciamoci la verità: è una strada molto bella, specie nel tratto che dall’Eur corre verso il mare, affiancata da pini ormai quasi secolari (ogni tanto ne cade uno, per vecchiaia o malattia o scarsa cura – ancora non si è capito bene – e qualche motociclista ci lascia le penne); ora, poiché le radici di questi alberi hanno la strana fissazione di cercare la superficie come se volessero emergere a cercare l’aria e il sole, sta di fatto che l’asfalto si è rigonfiato e spaccato in moltissimi punti, rendendo la via più simile ad un percorso di guerra che ad una strada di scorrimento e la nostra amministrazione comunale, notoriamente a corto di denaro, ha scelto – per evitare ricorsi e contestazioni in caso di incidenti – di imporre un limite di velocità, 50 km orari, e nel tratto più urbano 30 km, in attesa di interventi “più definitivi”. Tant’è…
Comunque, imboccata con la mia potente auto (per modo di dire) la ormai ben descritta strada, al primo incrocio (con semaforo ovviamente rosso) sono stato circondato da venditori di giornali e riviste di tutti i tipi; al secondo semaforo rosso ho respinto con garbo i lavavetri e i lava fanali anteriori; al terzo, un venditore di chitarrine ha tentato di appiopparmene una e mi ha guardato con evidente disprezzo quando ho fatto capire che non ero interessato alla musica; al quarto, mi sono rifiutato di comprare un mazzo di rose rosse oppure un panno di pelle artificiale per pulire i vetri; al quinto, ho trovato una squadra di barboni che, con molta dignità, chiedevano qualche soldo; al sesto semaforo, quello in genere più congestionato, sono improvvisamente comparsi un ragazzo e una ragazza che hanno eseguito in mezzo all’incrocio due minuti di esercizi di equilibrio con palle e birilli: non vi dico l’entusiasmo degli spettatori per questo spettacolo di alta acrobazia circense veramente bello, ma soprattutto – ho il forte sospetto - perché eseguito da una bella ragazza che indossava con disinvoltura una calzamaglia trasparente e appiccicata addosso come una seconda pelle.
Bene, giunto finalmente alla fermata della metropolitana, dopo aver trovato – dopo mezz’ora di ricerche -  un parcheggio “impossibile” a meno di non ricorrere a strani personaggi più con l’aspetto di pugili che di posteggiatori (abusivi), sono riuscito al terzo tentativo ad entrare in uno dei vagoni della metro, vagoni così affollati di gente che per tutto il viaggio non c’era bisogno di “reggersi agli appositi sostegni”, ci si reggeva in piedi l’un contro l’altro, tra ascelle evidentemente refrattarie all’acqua e sapone, colpi di tosse  e starnuti con annessi spruzzi. Nonostante l’affollamento, il nostro viaggio è stato allietato da suonatori di ogni tipo: fisarmonica, chitarra con accompagnamento di altoparlante a rotelle, strani strumenti tipo xylofono ma di evidente fabbricazione artigianale, mentre il programma spaziava dalla musica rock a quella più romantica con evidente preferenza per quella melodica. Ad una fermata è salita una zingara (non so se ancora si può usare questo termine o si rischia di essere tacciati di razzismo, omofobia o altre definizioni oggi usate dai benpensanti): i frequentatori di questa linea la conoscono bene, sono più di trent’anni che chiede – con le stesse parole – qualcosa per comprare un poco di latte per il suo figlio appena nato… deve essere un miracolo di fecondità, vista l’età ormai più che avanzata.
Bene o male, dopo più di mezz’ora di tragitto, sono riuscito finalmente a raggiungere l’agognata meta.   
“Caro zio – ho detto al mio saggio parente dopo i convenevoli d’uso – ora ti racconto il mio viaggio per venirti a trovare”… ed ho narrato le avventure capitate.
“Vedi, caro nipote – ha fatto mio zio – sei stato molto fortunato e non te ne rendi conto. Ti lamenti di buche e di limiti di velocità assurdi ma non capisci che non è cattiva intenzione o incuria quella dei nostri amministratori, anzi è una grande furbizia: evitare i dossi e le cunette costringe i guidatori e soprattutto i motociclisti ad una continua attenzione e a moderare la velocità, diventa una sorta di gara, ed è un po’ come quel gioco, ti ricordi?, che quando eri bambino ti portai da un mio viaggio ad Hong Kong: bisognava guidare una pallina di legno in una sorta di percorso obbligato evitando che cadesse in una delle numerose buche (e tu non ci riuscivi mai)… E i limiti di velocità sono una soluzione obbligata, non tanto per il limite in se stesso – che per una strada di grande scorrimento è evidentemente assurdo - ma per il fatto che si impone una velocità talmente minima nella speranza che il sicuro superamento rientri in un limite accettabile: vedi, noi italiani siamo per natura  insofferenti alle limitazioni e allora bisogna imporre divieti molto pesanti perché siano rispettati almeno in minima parte: hai mai fatto caso che in Italia sui cartelli che impongono una proibizione c’è sempre scritto “Severamente proibito” o “Divieto assoluto” quando basterebbe semplicemente la parola “Proibito” o “Divieto”, come se senza l’aggiunta rafforzativa si fosse ugualmente autorizzati ad ignorare tale proibizione? Sì, nessuno rispetterebbe mai un divieto semplice, cose che accadono solo nel nostro Paese. E tutti quei personaggi che bivaccano a questi benedetti incroci? Ringraziamo il cielo… si, mi ricordo anch’io della famosa idea dell’Onda Verde ma evidentemente i nostri amministratori che si sono succeduti negli anni sono stati lungimiranti: pensa cosa sarebbe successo se non vi fossero state tutte queste soste ai semafori rossi, cosa sarebbe stato di questi pseudo venditori, come avrebbero fatto a sostentarsi? E pensa anche al servizio che ci viene reso: noi italiani stiamo diventando sempre più pigri, per comprare il giornale ci saremmo dovuti fermare in edicola, magari sostando in terza fila e bloccando il traffico, pensa che caos; e avremmo dovuto passare magari una mezz’oretta della nostra beneamata domenica a pulire il parabrezza, cosa che un lavavetri extracomunitario riesce a fare benissimo in una trentina di secondi. Non mi meraviglierei se in un prossimo futuro una squadra bene organizzata riuscisse a lavare completamente una macchina in quei due minuti di sosta al semaforo. Già adesso ho sentito dire che per ovviare al problema degli spiccioli (spiccioli per modo di dire perché non dimentichiamoci che l’euro che oggi sborsiamo con tanta facilità equivale a ben duemila lire di una volta) qualche “venditore” sta pensando di dotarsi di apparecchio bancomat: vedi, nipote, la necessità aguzza l’ingegno… Mi incuriosisce, invece, l’esibizione dei due giocolieri, ma non più di tanto: in fin dei conti tutti noi siamo stati bambini e allora lo spettacolo del circo era una cosa che ci entusiasmava. Bene, in noi è sempre rimasto un po’ dell’animo di quel bambino, anche adesso che siamo adulti, e vedere certi spettacoli ci allieta la giornata, soprattutto se sono eseguiti da una bella fanciulla”.
“Ma zio – ho fatto io – cosa pensano di noi gli stranieri che vengono nel nostro Paese? Non è una pubblicità negativa, anche per il turismo?”
“Caro nipote – ha risposto lui – ancora non hai compreso certe cose… il turista è ammirato da quello che vede nel nostro Paese,  non viene qui soltanto per le bellezze naturalistiche o architettoniche ma anche e soprattutto perché l’Italia è come un grande parco giuochi, dove incontri uno spettacolo ad ogni angolo di strada: giocolieri, lavavetri, barboni, venditori di qualsiasi genere e dove – soprattutto – non ci sono proibizioni o divieti, se non puramente formali. In Italia si può far tutto quello che all’estero si sognerebbero soltanto: tuffarsi nelle fontane, incidere monumenti, gettare immondizia nelle strade, attraversare fuori delle strisce, salire gratuitamente su bus e tram… è tutto un grande giuoco ed è tutto gratis, chi vuoi che controlli, salvo qualche rarissimo caso in cui uno sfortunatissimo giocatore viene colto sul fatto da qualche “vigile” troppo zelante. Ma anche in questo caso, cosa vuoi che succeda, basta ascoltare la ramanzina di turno, non pagare l’eventuale contravvenzione e tornare tranquilli e beati al proprio paese, contenti di aver vissuto uno spettacolo indimenticabile. Quando mai fuori d’Italia potresti godere di questa libertà? Prova a non pagare il biglietto del bus o della metro in qualsiasi paese estero, o a buttare qualcosa per terra e vedrai che la vacanza sarà indimenticabile, sì, ma in un altro senso. Detto tutto ciò, pensa a quanto siamo fortunati noi, che lo spettacolo lo viviamo tutti i giorni in casa nostra, senza spendere un soldo… E in metropolitana la musica, la calca, gli odori rendono ancora più folkloristica la situazione: gli stessi giapponesi – che per cultura ed educazione hanno un innato senso di rispetto per il prossimo e si coprono naso e bocca quando sono raffreddati non per  proteggersi ma per non contagiare gli altri, gli stessi giapponesi – dicevo – sono stupefatti ma felici quando qualcuno in Italia gli starnutisce addosso: quando mai al loro paese potrebbe succedere qualcosa del genere, non gli capiterà mai più e potranno raccontare a parenti e amici quel senso di libertà che solo in Italia si può provare. Tutto questo da noi è normale, anche se qualche volta un benpensante o una persona troppo contegnosa può manifestare un senso di fastidio, mentre ad uno straniero riesce a dare ancora un piccolo brivido.
Vedi dunque, possiamo stare tranquilli, noi italiani, in fin dei conti è tutto un enorme giuoco e dovremmo essere proprio fieri di esserne gli attori principali. Ma adesso ti devo lasciare, nipote adorato, ho una cara amica che mi aspetta e tu sai che  - soprattutto alla mia età – non è bene fare aspettare una signora. E soprattutto devo attraversare tutta la città perché questa gentile signora abita proprio – guarda caso – dalle parti tue”.
“Bene zio – ho fatto io – allora possiamo fare il tragitto insieme e poi ti darò un passaggio con la mia auto…”
“No, caro nipote, ti ringrazio ma io ho già goduto abbastanza degli spettacoli che mi hai raccontato e non credo che alla mia età sarei in grado di sopportarli ancora. Certo, lo spettacolo della bella equilibrista in calzamaglia mi attirerebbe ma devo arrivare in buone condizioni all’appuntamento e preferisco chiamare il mio solito buon taxi. Vai pure, nipote, goditi di nuovo questa meravigliosa avventura e se dovessi incontrare al semaforo rosso il venditore di chitarrine, acquistane una, da piccolo eri tanto bravo e desideroso di imparare a suonare!”
                                                                                                                                    
(Silas)
 
 


Condividi questo articolo